I coniugi Alpi a “Storie”
Questa è il resoconto dattilografico della puntata che feci per Storie ai coniugi Alpi, 4 anni dopo la morte, a Mogadiscio, della loro figlia Ilaria e di Miran Hrovatin, il cameraman che viaggiava per lavoro con la giovane giornalista.
Ad oggi, la vicenda di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin non è stata ancora chiarita. Ricordo la dignità, la compostezza e il dolore di Giorgio e Luciana Alpi. Spero non si dimentichi il sacrificio di questa mia giovane e brava collega.
I CONIUGI ALPI
Roma, 20 luglio 1998
RVM
Dall’ intervista di Ilaria Alpi al sultano del Bosaso: “Gli italiani hanno occupato qua e hanno arrestato mio nonno, il mio bisnonno”
ILARIA ALPI: “Quando?”
Sultano: “Nel ’27, credo, dopo tre anni di guerra.
Ilaria “E quindi che memoria ha degli italiani qui?
Sultano: “Discreta”
Ilaria: “Anche se adesso non sono lontani, sono a Mogadiscio, non hanno fatto niente per questa regione?
Sultano: “Non hanno fatto niente. Non voglio commentare ma hanno fatto poco o niente”
Ilaria “E perché, dopo che invece il Fai aveva costruito un ospedale, una strada, non c’è stato più niente secondo lei?”
Sultano: “Questo era l’interesse dei governanti di allora, nostri e vostri”
Ilaria “E oggi invece?”
Sultano: “Non c’è stato un grosso scandalo su questo?”
Ilaria “Lo scandalo ancora in corso!”
Sultano: “E’ ancora in corso… Pensavo che avevate conciliato”
Ilaria “Siamo un po’ somali anche noi… Che cosa pensa dell’intervento delle Nazioni Unite in questa zona? E’ stato o non è stato sufficiente?”
Sultano “Noi non abbiamo visto le Nazioni Unite, abbiamo visto il funzionario delle Nazioni Unite che sta qua e si guadagna il pane”
Ilaria “Secondo Lei, di cosa ci sarebbe bisogno, se potesse chiedere?”
Sultano “Una brava persona mi ha esposto questa domanda almeno un migliaio di volte… Abbiamo bisogno di tutto”.
Ilaria “Secondo Lei, come mai l’attenzione internazionale si è concentrata su Mogadiscio e ha un po’ dimenticato il resto della Somalia, soprattutto queste regioni?”
Sultano “Perché i mass media mondiali hanno bisogno delle cose brutali e a Mogadiscio succedono cose brutali”.
MINA’ Queste risposte beffarde di Abdullahy Mussa Bogor, sultano di Bosaso ad Ilaria Alpi, è possibile nascondano la spiegazione dell’uccisione della giornalista di Rai 3 e dell’operatore Miran Hrovatin, quattro anni fa a Mogadiscio. “I mass media – afferma il sultano – hanno bisogno di immagini brutali e spesso – sottintende – non sono interessati alla verità”. La storia di Ilaria Alpi, studiosa del mondo arabo, entrata alla Rai per concorso e di Miran Hrovatin, coraggioso operatore free-lance, uccisi in Somalia nel marzo del ’94, conferma questo dubbio sgradevole. Nessuno, né i tre giudici per le cui mani è passata l’inchiesta, né le autorità militari italiane che allora erano impegnati a Mogadiscio nelle operazioni Idis, né i parlamentari di governi che si sono succeduti negli ultimi quattro anni, hanno infatti dato l’impressione di sentire l’esigenza morale e politica o anche solo umana di cercare veramente il perché di quelle due esecuzioni e chi sono i mandanti. Tutto il comportamento dell’apparato militare, diplomatico e politico è stato inquietante fin dall’inizio, come per le stragi degli anni ’70 –’80 o per la tragedia di Ustica. Dai soccorsi negati dal corpo di spedizione italiana un attimo dopo l’agguato ai due giornalisti, alla constatazione che il primo a prodigarsi sul luogo dell’eccidio sia stato, chissà perché, Giancarlo Marocchino, un imprenditore italiano molto chiacchierato in Somalia. Dalla sparizione di molte delle videocassette girate da Miran Hrovatin in quella trasferta, visto che ne erano state trovate soltanto sei, alla accertata sottrazione dai bagagli di Ilaria Alpi, di alcuni block notes che i colleghi, Giovanni Porzi e Gabriella Simoni, quando raccolsero le cose di Ilaria dalla camera d’albergo di Mogadiscio, avevano verificato essere almeno cinque, mentre alla famiglia ne sono stati consegnati soltanto due. E poi l’ambiguità in questo frangente dei funzionari Unosom, United National Operation in Somalia e delle autorità locali. Luciana e Giorgio Alpi, i genitori di Ilaria, non riescono ad accettare che la loro figlia unica, sensibile, onesta, appassionata, che si era preparata per non essere una giornalista qualunque, sia stata privata della vita per una squallida storia di mala cooperazione o di traffico di armi, due tipici meccanismi con cui l’economia dei paesi ricchi, spesso turlupina, saccheggia, mortifica il Sud del mondo. Papà e mamma Alpi sono venuti a raccontarci la loro storia familiare e perché non si vogliono arrendere.
MINA’ Luciana e Giorgio Alpi, quattro anni dopo la morte di vostra figlia Ilaria, è più grande il dolore per la sua scomparsa, o l’amarezza per l’impunità di cui hanno goduto gli assassini e coloro che hanno fatto in modo che la verità non arrivasse alla conoscenza della gente?
GIORGIO ALPI Il dolore è sempre enorme e non si lenirà mai. L’amarezza è altrettanto grande perché in questi quattro anni e quattro mesi, per l’esattezza, noi abbiamo trovato un’infinità di muri, ma non ci arrendiamo, siamo sempre più determinati a volere a tutti i costi la verità, soprattutto sui mandanti. Questo parrà cinico da parte di una madre, ma gli esecutori mi interessano fino ad un certo punto. Noi vogliamo sapere perché Ilaria è stata assassinata, che cosa aveva scoperto e chi sono i mandanti.
MINA’ Il muro di gomma del silenzio e del depistaggio lo avete trovato ovunque, anche nelle autorità italiane?
GIORGIO ALPI Soprattutto dalle autorità italiane, perché noi purtroppo con quelle somale non abbiamo mai avuto nessun approccio anche se siamo molto delusi, perché Ilaria era molto conosciuta in Somalia. Erano sette volte che mia figlia ci andava ed era conosciuta da moltissimi cittadini somali. Noi speravamo e speriamo ancora, ma ormai la speranza su questo si fa sempre più flebile, che qualcuno che la conosceva dicesse qualcosa, perché la verità a Mogadiscio la sanno in molti. Questo ci ha deluso moltissimo, perché lei amava quel popolo e se è stata assassinata, noi crediamo che lo sia stata insieme, a Miran Hrovatin, anche e soprattutto perché voleva scoprire le malefatte che i governi italiani che si sono succeduti, avevano fatto con la cooperazione italo-somala.
MINA’ A che punto sta questa famosa indagine sulle malefatte della cooperazione, dottor Alpi?
GIORGIO ALPI Quella è una pagina per noi molto triste, al punto che, poco tempo fa leggemmo sui giornali che l’inchiesta era ferma per vizi procedurali, per cui si andava, tecnicamente, verso “l’estinzione e la mancanza del ricordo”, dissolvendo tutto in questa maniera. In quella occasione fummo talmente emozionati che scrivemmo una lettera ad Ilaria, dicendo che c’era questa tragedia nella tragedia, cioè questo cercare di cancellare tutto, di non voler la verità ad ogni costo. Questa nostra lotta, infatti ha anche un significato, quello di non rendere inutile il sacrificio di due italiani che hanno lottato per la verità e che hanno il diritto di avere verità.
MINA’ E chi vi ha pubblicato questa lettera ideale ad Ilaria?
GIORGIO ALPI Ce l’ha pubblicata un quotidiano, “La Repubblica”.
GIORGIO ALPI Era un colloquio con Ilaria per metterla al corrente di questa situazione così triste e ingiusta, anche perché i magistrati hanno lavorato, hanno fatto ricerche e poi, improvvisamente, si trova sempre il sistema perché queste procedure siano fermate e poi non si sa più niente e la gente dimentica. Il tentativo è proprio quello di far dimenticare.
MINA’ Quando avete incominciato a capire che nella morte di vostra figlia c’erano molte cose poco chiare?
GIORGIO ALPI Direi, quasi immediatamente. Ricordo che, dopo i primi due o tre giorni di smarrimento, c’è stato un dato di fatto molto importante. Noi abbiamo saputo della morte di Ilaria per una telefonata della Rai, ci avvertivano, infatti, che Ilaria era morta. Non è venuto da noi nessuno della Farnesina. In genere si sa che in questi casi la famiglia viene avvertita e questo è un dato molto importante, perché vorrei ricordare un fatto che si collega a questo. Ilaria era a Mogadiscio il giorno che furono uccisi i due soldati italiani mentre facevano jogging. Lei era in macchina insieme al giornalista del “Corriere della Sera” Alberizzi. Avevano la radio accesa perciò seppero, nei minimi particolari, nell’immediatezza, tutto quanto, sentirono i richiami per mandare i soccorsi, gli elicotteri che dovevano arrivare e seppero i nomi dei due italiani che erano stati uccisi. Alberizzi – lo ricordo in un articolo che ha scritto – si rivolse a Ilaria e disse: “Tu stasera devi fare il servizio alle sette e perciò sarai la prima giornalista a dare questa notizia”. Ilaria si rifiutò di darla, perché non voleva che la famiglia avesse la notizia dei propri congiunti morti attraverso la televisione. A lei questo rispetto non è stato dato. Due o tre giorni dopo la morte di nostra figlia, siccome non sapevamo, andammo alla Farnesina, all’Unità di crisi, per chiedere notizie. Fummo ricevuti… Niente, non sapevano niente, ci dissero che non avevano notizie. Noi ricordammo che Ilaria era stata la prima giornalista che aveva dato la notizia di questa nave sequestrata, ma ci fu risposto che era inutile, che lo sapevano già loro.
MINA’ Questa nave che trasportava armi?
GIORGIO ALPI Si suppone che trasportasse armi. Faceva parte della flotta Shifco che fu sequestrata.
RVM Servizio di Massimo Cerefolini (marzo 1997)
“Ecco i taccuini di Ilaria Alpi, quelli trovati in redazione a Roma, e due dei cinque, gli altri sono misteriosamente scomparsi, che l’inviata del Tg 3 aveva riempito a Mogadiscio poco prima di venire uccisa assieme all’operatore Miran Hrovatin. Si parla di opere della cooperazione allo sviluppo lasciate in abbandono della Shifco, una società di pesca della Somalia beneficiata dagli aiuti italiani e di un personaggio somalo, Omar Mugne, capo indiscusso della Shifco. Nei confronti di Mugne, laurea in ingegneria a Bologna, una carriera folgorante al seguito del Psi di Craxi e dell’ex dittatore somalo Siad Barre, la Procura di Torre Annunziata ha emesso, di recente, un avviso di garanzia per traffico internazionale di armi e Ilaria Alpi – ricordano i magistrati campani – stava indagando proprio su una nave della Shifco, la “Faarax Oomar”, sequestrata in quei giorni da alcuni pirati al largo di Bosaso.
Sultano di Bosaso: “A capo di questa flotta, c’era un ente nazionale che si chiama Shifco”.
Noi facciamo un passo indietro, fino alla metà degli anni ’80, quando la Shifco viene creata per gestire una flotta di pescherecci costruiti dalla Sec di Viareggio con i fondi italiani per l’aiuto ai paesi in via di sviluppo. Il controllo dell’azienda all’inizio è diviso in due: la parte italiana fa capo ad una società di Reggio Emilia, della famiglia Malavasi, quella somala a Mugne. Formalmente la maggioranza è somala, il controllo, di fatto, in mano agli italiani.
Sultano di Bosaso: “Parte di questa proprietà apparteneva ad una società italiana e la società era in collisione con Mugne. Ma Mugne non era niente e non è niente tuttora. E’ la società che manovra”.
Mugne, comunque, resta sempre al vertice della società e dopo alcuni complessi passaggi di gestione che vedono anche il coinvolgimento di una azienda del gruppo Panati di Lucca, la Shifco alla fine può contare su una flotta di tutto rispetto. Aiuto dopo aiuto, entra in possesso di cinque navi da pesca oceanica più una frigorifero. Ufficialmente, compito delle imbarcazioni è il trasporto di pesce fra Somalia e Gaeta, ma alla capitaneria del porto laziale, le navi si vedono raramente: “Ma, non proprio ogni due o tre mesi, bensì ogni cinque o sei”.
Consultando il registro dei Lloyd’s di Londra, i magistrati di Torre Annunziata si accorgono che le rotte dei pescherecci sono altre. Libano, Iran, Spagna, Venezuela. Le stesse, annota la Procura campana, tipiche del traffico d’armi. Ilaria, insomma, qualche cosa doveva averlo scoperto. Forse, come scriveva in uno dei suoi block notes, una quantità enorme di soldi pubblici destinati a un popolo affamato finivano per ingrassare il conto dei mercanti di armi e di scorie radioattive.”
GIORGIO ALPI Noi non possiamo dire armi, certo le ipotesi sono molte, ma non abbiamo la prova per dirlo. Comunque molte voci, molte testimonianze dicono che su quelle navi si facesse…
MINA’ La pesca c’entrasse poco… Questo ingegner Mugne era molto vicino ai governanti dell’epoca tanto dell’Italia quanto della Somalia, cioè a Craxi e a Siad Barre.
GIORGIO ALPI Mugne si è laureato in Italia ed era amico intimo di un personaggio socialista. Parlava benissimo l’italiano ed era legatissimo al Partito socialista e su questo ci sono le prove. Piro, ex deputato socialista, era un suo amico intimo.
RVM
Ilaria Alpi: “Si parla di questo scandalo di un proprietario somalo con passaporto italiano che si chiama Mugne che avrebbe preso queste navi, di proprietà dello Stato, e le avrebbe usate a suo uso privato.
Sultano di Bosaso: “Lui?”
Ilaria Alpi: “Lui”
Sultano: “Lui solo?”
Ilaria Alpi: “Lui con altre persone. Io le chiedo di spiegarmi che cosa è successo”
Sultano: “Durante il collasso lui era a capo di questa flotta, un ente nazionale che si chiama Shifco. Ed era una proprietà praticamente di Siad Barre. E lui faceva l’amministratore e quando è venuto il collasso, si è preso le navi, ha fatto scendere tutti gli occupanti somali in Tanzania, a Dar Es Salam e se l’è squagliata con le navi in Italia. Parte di questa proprietà apparteneva ad una società italiana”
“Sa il nome della società?”
“Il nome… La trovi…”
“Mi dia una mano!”
“Deve fare le ricerche, deve guadagnarsi il pane lei!”
“Non mi vuol dare una mano?”
“Non posso. Queste società hanno dovunque dei lacchè. Nessuno ci faceva caso (prima), e nessuno ci fa caso adesso”
“No, adesso il nostro sport preferito è quello di fare processi, adesso è diverso, non è come cinque o sei anni fa”
“A si? L’Italia è rinnovata? Meno male. Mandateci gli innovatori”
MINA’ Il tono del sultano di Bosaso che mi pare avesse avuto un avviso di garanzia dal giudice Pititto che è stato poi sostituito nell’indagine, sembra quasi un messaggio a qualcuno, un messaggio che Ilaria sicuramente tentava di interpretare.
LUCIANA ALPI Lì, quando lui dice una frase, c’è stato uno stop di camera. Per chi si intende di telecinema ed anche i giornalisti, naturalmente, se ne sono accorti. E poi Hrovatin, era un uomo sicuramente intelligente, ha capito che il sultano stava raccontando qualcosa di interessante ed ha riaperto la telecamera. Si sente, infatti, il sultano che dice “Venivano da Milano – non c’è il soggetto – venivano da Brescia, addirittura dallo stato sabaudo (dal Piemonte)”. Che cosa veniva da Milano e soprattutto da Brescia? Non certamente il pesce, ma le armi.
MINA’ Questa intervista è del 17 marzo del 1994, tre giorni prima della morte di Ilaria e di Hrovatin. Vorrei continuare con un altro servizio di Ilaria, perché questo è un viaggio nella vostra vita, nel vostro affetto, nella vostra storia di genitori di una ragazza che cercava la sua affermazione nel giornalismo, ma è anche purtroppo, un viaggio nelle contraddizioni del nostro Paese.
RVM
Il porto di Bosaso è il centro più importante delle regioni nordorientali della Somalia. Qui approdano le navi in arrivo dalla Penisola Arabica.
Ilaria Alpi: “Proprio per quanto riguarda Bosaso, qui ci sono stati dei problemi, sono state sequestrate delle navi. In questo momento è stata sequestrata una nave con a bordo croati e italiani. Cosa ci può dire a riguardo?”
Dardo Scilovich, rappresentante dell’Unosom: “Mi dicono che ci sono tre italiani a bordo di questa nave, quattro croati, parecchi curdi e altri ventinove somali. Era una nave che era stata operata prima dai somali e dagli italiani in cooperazione internazionale. C’è anche un angolo interno in tutta questa faccenda…”
Ilaria Alpi: “Queste navi adesso sono in Italia”
Sultano: “Nella maggior parte del tempo sono nei nostri mari, sulla costa migiurtina”
Ilaria Alpi: “ E poi dove vendono?”
Sultano: “Sulla costa magertina. Adesso ne abbiamo presa una”
Ilaria Alpi: “E poi cosa avete fatto, dopo aver preso la nave?”
Sulatano: “L’abbiamo, basta”.
MINA’ Quei predoni hanno recuperato una nave che la cooperazione italiana aveva dato al governo somalo e della quale si era appropriato un personaggio legato a Siad Barre, trasformandole in una proprietà privata. È veramente l’inizio di una storia non da poco. Dardo Scilovich, il rappresentante della United National Operations in Somalia è fiscale, burocratico nel dire solo quello che è successo, mentre il sultano di Bosaso continua ad essere insinuante e beffardo. Questa intervista di Ilaria con il sultano, credo abbia a che fare con la sua sorte, ci offra molte spiegazioni su quello che è successo ad Ilaria. L’aveva scelta lei la Somalia o era stato il telegiornale?
LUCIANA ALPI No, quando nel dicembre del ’92 c’era stato lo sbarco americano a Mogadiscio, ci andò un suo collega. Dopo una settimana, verso il 22 o il 23 di dicembre, lui rientrò, qualcuno doveva ritornare a Mogadiscio e mandarono Ilaria. E mi ricordo che fu il primo Natale della sua vita che non fece con noi, perché lei in qualsiasi parte del mondo si trovasse, il Natale le piaceva farlo insieme a noi.
MINA’ La mandarono perché parlava arabo e conosceva quel mondo?
GIORGIO ALPI Anche quello, ma a proposito di questo fatto del Natale passato a Mogadiscio, credo che sia necessario ricordare un episodio rammentato da un giornalista. Il giorno di Natale c’era una festa all’Ambasciata italiana e una festa in casa di Marocchino, il faccendiere italiano che era là…
MINA’ E anche vicino ai servizi segreti italiani, questo è notorio.
GIORGIO ALPI Si. Ilaria disse: “No, io non vengo perché io faccio la giornalista e devo continuare il mio lavoro e passò il Natale a Merca, in un ospedale dove c’erano degli ammalati e Alberizzi ricorda questo fatto, dicendo che era proprio il suo stile, il suo modo di lavorare. Questo, credo, renda un po’ il carattere di Ilaria, il suo sforzo, che viene da molto lontano, nel senso che lei aveva già avuto l’esperienza egiziana, era stata in Marocco…
MINA’ Mi parli di questa sua figlia che vedo lei ricorda con orgoglio.
GIORGIO ALPI Si… Però, tornando alla domanda che lei mi aveva fatto, abbiamo saputo dopo tanto tempo, dopo il famoso bombardamento di Mogadiscio, che ci fu un tentativo di accoltellamento di Ilaria. Lei non parlava… Noi non litigavamo mai. C’erano delle discussioni come tutti, però io ricordo che quando andavo a prenderla all’aeroporto, qualche volta, mi lamentavo perché lei raccontava poco e forse perché si voleva difendere dalla paura, dall’ansia e dai rimproveri che le facevamo. Se si guardano i suoi servizi, si vede che lei appare poco, si vede questa mano con il microfono. Noi le dicevamo: ”Ilaria, fatti vedere così sappiamo come stai”. E lei rispondeva: “Non è fatto per me il servizio, è fatto per quello che io racconto”.
MINA’ Il vecchio giornalismo televisivo era molto sobrio e a noi così ce lo hanno insegnato. Con il tempo molti hanno creduto fosse un palcoscenico. Era stata una vocazione questa, per Ilaria? A quanti anni vi ha detto che voleva fare questo mestiere?
LUCIANA ALPI Ilaria, durante le medie, andava in una scuola cosiddetta sperimentale a tempo pieno e nel pomeriggio facevano delle attività. Lei aveva scelto di fare il giornalino della scuola e da allora cominciò a dire che da grande avrebbe fatto la giornalista. Ma le sarebbe piaciuto scrivere soprattutto su un settimanale, perché, sosteneva, che scrivere su un settimanale poteva approfondire l’argomento che avrebbe scelto. Certamente, alla tv approfondimenti di questo genere non ci sono, le notizie vanno di getto e il tempo è sempre limitatissimo.
MINA’ Signora, il mondo arabo era stata un’altra scoperta della adolescenza?
LUCIANA ALPI . No, il mondo arabo è venuto fuori per caso. Lei, finita la maturità, voleva fare l’etologa, perché adorava gli animali. Allora andò a Parma dove un nostro cugino la presentò al professor Mainardi, un grande etologo, però le dissero che doveva iscriversi alla facoltà di scienze naturali con specializzazione etologia ed in questi studi, è prevista molta matematica. Ilaria, che è sempre stata molto brava a scuola, le piaceva anche vivere, le piaceva divertirsi, però ha sempre studiato volentieri, ma la matematica non era certamente la sua materia preferita, disse: “No, non lo posso fare”. Andò all’università e lesse le varie facoltà scritte sui tabelloni e scelse lingua e letteratura araba. Quando tornò a casa noi dicemmo: “Fai quello che vuoi”, però pensammo che poi si sarebbe fermata. E invece la cosa le piacque talmente e la interessò moltissimo, anche perché era una facoltà che aveva solo venti iscritti alla Sapienza, per cui erano seguiti molto bene dagli insegnanti.
GIORGIO ALPI C’è un fatto molto strano: mio nonno era stato ucciso a Mogadiscio, ad Alafuè, e ho pensato tante volte con Luciana, ma Ilaria ci rispondeva: “State calmi, alla Somalia abbiamo già dato, il nostro contributo lo abbiamo pagato”. Questa stranissima coincidenza di questo suo bisnonno che era morto a Mogadiscio…
MINA’ Durante la guerra?
GIORGIO ALPI No, era nella carovana dell’esploratore Antonio Cecchi. Vennero uccisi tutti, nel 1896, a La Folè, nei pressi di Mogadiscio.
MINA’ In questo servizio, è presente il modo di fare giornalismo di Ilaria, dove si vede l’abilità di un professionista di raccogliere in pochi minuti non solo tante notizie, ma un sapore, una atmosfera, un modo di essere di una terra, di un popolo.
RVM
Il traffico a Mogadiscio è bloccato. Il convoglio degli aiuti italiano è fermo qui. Il presidente Bush è in visita in un villaggio qui accanto e gli americani hanno chiuso la strada che va a Merca, la distribuzione degli aiuti può attendere. Merca dà il benvenuto agli americani, anche se la gente aspettava i soldati italiani. La città ha bisogno di aiuti, il porto è pieno ma non può cominciare la distribuzione perché i banditi assaltano i convogli. Case saccheggiate, beni rubati, donne violentate. Conflitti tra clan, famiglie, etnie diverse e poi è stata la volta dei fondamentalisti islamici che hanno occupato il porto. Sono determinati, il porto è sotto la loro autorità e intendono restarci. Aberracman era orgoglioso del lavoro fatto. “Ora la situazione – ci dice – è tranquilla sotto il nostro controllo”. Non sa ancora che, tra breve, saranno gli americani i padroni del porto.
Butrhos Gali è inviso qui in Somalia. Sono i “Banco” a protestare, l’etnia africana. Accusano il Cairo di aver appoggiato quella araba, i “Darod”, per tutta la presidenza Barre, quando Barre era ministro di stato degli affari esteri. E non basta: Rali è accusato di essere stato lo sponsor dell’intervento militare internazionale e di avere organizzato le conferenze di pace del Cairo e Giputi, fallite, e che in molti avevano considerato un bluff fin dall’inizio e qualcuno insinua che Rali appoggi alcune fazioni contro altre, legato come sarebbe, al precedente governo. Grandi difficoltà a livello politico e diplomatico che si ripercuotono con violenza su un paese già così diviso e senza più alcuna legge. Un paese sotto pressione che potrebbe esplodere con violenza estrema una volta partito l’ultimo militare straniero. Al quartier generale di Aidid il responsabile degli affari esteri, il dottor Issa, ha toni molto duri contro tutti gli occidentali.
Issa: “Gli americani ci avevano chiesto di mettere tutti i nostri militari nei vecchi campi militari. Noi abbiamo accettato il loro consiglio, li abbiamo inviati e tenuti lì. Poi non abbiamo avuto più altre informazioni e il secondo passo che hanno fatto è stato quello di attaccare e bombardare”.
La luna di miele con gli americani sembra proprio finita.
MINA’ Voi avete parlato con Ilaria l’ultima volta …
LUCIANA ALPI Io ho parlato con Ilaria la domenica del 20 marzo. Alle 12.30, ora italiana, mi ha telefonato dicendomi che era tornata da Bosaso, che era molto stanca, ma stava bene. Poi io le ho chiesto quando sarebbe rientrata e lei m’ha detto: “Se la Rai me lo permette, io vorrei rimanere altri due o tre giorni dopo la partenza del contingente italiano, perché vorrei vedere la situazione di Mogadiscio dopo la partenza del nostro contingente. Io le ho detto: “Cerca di arrivare prima che puoi”, le solite raccomandazioni di una madre.
MINA’ Perché era partita? In questo caso, c’era stata una sua indicazione sua al direttore del Tg 3?
LUCIANA ALPI No, assolutamente. Probabilmente lei è andata per questo suo ultimo viaggio, perché era il completamento del suo lavoro. L’aveva iniziato con la permanenza degli italiani a Mogadiscio e lo concludeva con il rientro in Italia del contingente in Italia.
MINA’ Ma stava per non partire, mi pare…
LUCIANA ALPI Stava per non partire, infatti era a casa nostra la sera prima. Fino alle 11.30, mezzanotte, non sapeva se la mattina dopo sarebbe potuta partire per Mogadiscio, perché i tre operatori della Rai si erano rifiutati di accompagnarla. Almeno di uno sappiamo, e l’ha detto chiaramente davanti alla Commissione Gallo, che non è andato, intanto perché non stava bene, e poi…
MINA’ La Commissione Gallo è la Commissione di inchiesta sulle presunte violenze del continente italiano in Somalia.
LUCIANA ALPI Esattamente. Lui ha detto che non è partito perché il budget era troppo basso.
MINA’ Era l’epoca in cui la Rai stringeva i cordoni.
LUCIANA ALPI La Rai dei cosiddetti professori che dovevano fare di tutto per risparmiare e riportare l’azienda in attivo, probabilmente. Il budget di Ilaria, infatti, per dieci giorni, per una guardia del corpo, l’autista, la macchina e il carburante, era di tre milioni.
MINA’ Forse una guardia del corpo in quella situazione è niente.
LUCIANA ALPI Era niente, appunto.
MINA’ Per questo fu scritturato Miran Hrovatin, della Videoest, una agenzia che fornisce servizi e tecnici alla televisione pubblica e ai network privati e che aveva già lavorato con i giornalisti Rai in Bosnia. Purtroppo ci sono momenti in questa azienda che non si capiscono sempre fino in fondo.
LUCIANA ALPI Non si capiscono a tal punto che dopo la morte di Ilaria, la Rai, noi pensavamo che si costituisse parte offesa immediatamente, perché in fondo Ilaria era morta mentre svolgeva il lavoro per la Rai, per questa azienda di stato, fra le altre cose. E invece dopo le nostre insistenze e le nostre anche probabilmente insistenze pesanti, la Rai si costituì parte offesa a due anni e mezzo dalla morte di Ilaria. E questo devo dare atto all’allora direttore generale che era il dottor Materia, che con noi fu squisito e difatti lui non sapeva perché lui non c’era oppure stava in Rai ma non era ai vertici e era meravigliato perché la Rai non si fosse costituita immediatamente. E così lo fece lui ma dopo due anni e mezzo dalla sua morte.
MINA’ Sembra un percorso, un Calvario di amarezze. Incominciamo invece ad entrare nelle amarezze per quello che avete saputo è stato lo svolgersi dei fatti e che hanno causato la morte di Ilaria. Ilaria era andata a Bosaso perché evidentemente inseguiva questa realtà che a fatica viene fuori.
LUCIANA ALPI Lei doveva stare 24 ore a Bosaso. Il 18 sapeva che a una data ora doveva andare questo aereo. Stranamente loro sono arrivati, l’aereo è arrivato prima ed è partito prima così lei e Miran sono dovuti rimanere due giorni in più a Bosaso. Questa è un’altra cosa strana, perché un aereo Unofrom che sa di dover prendere due giornalisti per riportarli a Mogadiscio, in un momento particolare, insomma, arriva prima e parte prima. Anche qui è una cosa strana, e ci sono molte stranezze in questa triste vicenda
MINA’ All’aeroporto a Mogadiscio, ad attendere Ilaria e Miran Hrovatin c’erano un autista e una guardia del corpo diversi dal previsto.
GIORGIO ALPI Non s’è mai saputo chi abbia trasportato dall’aeroporto all’albergo Shavin di Mogadiscio Sud, non s’è mai riusciti a saperlo. Ad ogni modo ci sono delle cose strane anche in questo fatto, perché dai registri che noi abbiamo avuto, il 19 era stato mandato un mezzo militare per recuperare Ilaria e portarla in zona di sicurezza. Non si capisce perché il 20 non sia andato nessuno, se non potevano perché c’erano stati gli imbarghi, era un momento cruciale per le nostre forze armate, almeno avvertire l’albergo che non si muovesse. Invece poi c’è stata questa partenza improvvisa di Ilaria che è stranissimo perché era arrivata stanca, perché era ripartita per andare in uno delle escursioni che abbiamo fatto e che qualcuno l’abbia chiamata al telefono o qualcuno le abbia richiesto la sua, perché bisogna superare la linea verde… Era tutto un percorso molto pericoloso
MINA’ Per andare dal suo albergo che si chiamava?
GIORGIO ALPI Dal suo albergo all’Habana dove poi è avvenuto l’eccidio
LUCIANA ALPI L’albergo di Ilaria si chiamava Sansha e l’Habana Hotel è l’albergo dove lei è andata
MINA’ In teoria per andare a trovare il collega Benni
GIORGIO ALPI Poi tra le altre cose era un continuo insistere con l’autista che le aveva detto che non c’era. E’ tutta una cosa molto strana e questo è grave perché siccome non hanno fatto nessuna inchiesta, ed era un’inchiesta semplicissima che si poteva fare, sapere dall’albergo, ma nessuno ha visto niente
MINA’ In quel frangente, prima di uscire dall’albergo, Ilaria telefonò a voi e poi al tg3 annunciò per l’edizione delle 19, ho delle cose grosse, un ottimo servizio. Poi uscì con Hrovatin senza la telecamera. E’ indiscutibile che vostra figlia fosse una giornalista coraggiosa mi pare
LUCIANA ALPI Era una persona non so se coraggiosa è l’aggettivo giusto. Quando doveva fare una cosa la faceva, non era certamente la giornalista che si dava all’arrembaggio, non assolutamente. Amava troppo la vita Ilaria per rischiarla. Probabilmente lei seguiva un filone. Seguiva questo filone del traffico d’armi e la malacooperazione perché questo ci è stato restituito dal suo cassetto dell’ufficio di Saxa Rubra, un blok notes che lei aveva nel cassetto dove c’era scritto “Dove sono finiti i 1400 miliardi della cooperazione italo-somala” poi c’era scritto Scifco, Mugne, Bosaso, strada Daroe-Bosaso che è la strada che sembra sia stata fatta per poter interrare i rifiuti tossici. Questo è quanto dice una Procura di Asi, per esempio. Per cui lei era partita sapendo che cosa voleva sapere
MINA’ E indaga sui rifiuti tossici
LUCIANA ALPI Per cui lei queste cose erano precedenti al suo ultimo viaggio. Non è vero che per esempio che inizialmente qualcuno diceva che era andata a Bosaso per caso. Assolutamente
GIORGIO ALPI Abbiamo le prove
LUCIANA ALPI Perché noi abbiamo un foglio che lei aveva riempito, perché loro dovevano riempire un modulo quando chiedevano di fare un viaggio, all’Unosom per cui noi abbiamo questo foglio che lei chiede di andare e doveva andare anche a Chisimaio, che era a Sud di Mogadiscio
GIORGIO ALPI. Il 21
LUCIANA ALPI Doveva andare a Chisimaio e a Bosaso. A Chisimaio non c’era l’aereo a disposizione, c’era per Bosaso. Allora lei prima è andata a Bosaso e poi sarebbe dovuta andare il 21 marzo a Chisimaio. Perché lì c’era la stessa situazione di Bosaso, cioè era un porto dove c’erano le navi, dove probabilmente c’erano dei traffici, per cui lei voleva fare queste due tappe. Noi abbiamo questo foglio Unosom con la data “Bosaso, 21 marzo Chisimaio
MINA’ Ma l’Italia di oggi chi deve coprire di questa storia indegna successa nel nostro recente passato?
LUCIANA ALPI Questo noi non riusciamo a capire. Difatti noi siamo molto critici verso le nostre Istituzioni perché ad esempio il governo italiano addirittura la Presidenza del Consiglio dovrebbe fare dei passi per sapere che cosa sa un generale Luca Raiola Pescarini della morte di Ilaria e di Miran. Chi è questo signore? E’ un generale del Sismi, cioè del servizio segreto militare. Questo signore era presente a Mogadiscio prima che il nostro contingente andasse, durante e anche adesso. Allora noi diciamo Perché non si attiva qualcuno del nostro governo per sapere che cosa sa questo signore? Noi non possiamo pensare che allora colonnello, adesso generale, questo signore non sappia che cosa è successo. Lui ha liquidato la morte di Ilaria e di Miran dicendo che erano stati uccisi dai fondamentalisti islamici. Cosa che se non sarebbe tragica, ci sarebbe da ridere, perché poi nessuno, la racconta il generale Fiore, dopodiché non la racconta più nessuno, questa tesi e non si dice altro. Allora, un generale di un servizio segreto italiano che non sa che cosa è successo a due giornalisti italiani, non posso pensare, penso che sia una persona molto colta e preparata, allora cosa nasconde questo signore, perché nessuno gli fa dire che cosa realmente è accaduto oppure perché non si è attivato per sapere che cosa è accaduto
MINA’ Appena Marocchino con la sua macchina che aveva raccolto i corpi di Ilaria e Miran arriva al porto vecchio, ha trovato un agente dei servizi segreti, un tale Tedesco.
GIORGIO ALPI Sembra che ce ne fossero altri in giro, però…
LUCIANA ALPI Questi sono solo un “si dice”. Ci dovrebbe essere questo Tedesco, anzi addirittura vicino alla macchina dell’agguato c’era, pare, un uomo dei servizi. Quando arriva Marocchino sul posto dell’agguato, pare ci fosse anche questo Tedesco, di nome, io non so però, si dicembre
MINA’ Cosa vi indigna di più, perché ora stiamo entrando in un altro capitolo doloroso, l’agguato e quello che è successo subito dopo ‘agguato
LUCIANA ALPI A noi ci indigna soprattutto le omissioni fatte dal comando militare italiano. Non è andato nessun militare nel posto dell’agguato
MINA’ Mentre due troupes, una della televisione svizzera e una della ABC…
LUCIANA ALPI Hanno fatto tranquillamente i loro servizi. Non solo, Marocchino chiama il comando italiano per dire “Ci sono due italiani” lui conosceva benissimo Ilaria, dice addirittura l’altro non lo conosceva perché era Rovatin, era la prima volta che andava a Mogadiscio, ma Marocchino conosceva benissimo Ilaria. Quando l’ha presa tra le braccia, questo lo dice lui, dice addirittura non sapeva se piangere o urlare perché Ilaria era ancora viva. Chiama il comando italiano, parla con il colonnello Giorgio Cannarza il quale gli dice “Pensaci tu”.
LUCIANA ALPI Adesso abbiamo scoperto leggendo la relazione del professor Gallo, che addirittura loro hanno interrogato questo colonnello Giorgio Cannarza il quale sostiene di avere detto a Marocchino di provare con due dita, mettere due dita sul collo ad Ilaria per vedere se era ancora viva. Allora a questo punto noi come genitori che cosa diciamo? Se questo colonnello dà una dritta a Marocchino per sapere se Ilaria è ancora viva, certamente è viva, se no Marocchino avrebbe detto che era morta. Una cosa. La seconda è che dal servizio fatto dal ABC, Ilaria si vede che le sgorga il sangue dal naso, per cui in una persona morta il sangue non esce, no?
MINA’ Malgrado il colpo alla nuca, lei è medico, dottor Gorgio, poteva essere che il cuore di Ilaria pompasse?
GIORGIO ALPI Certamente questo è dimostrato da un fatto che abbiamo saputo ultimamente, perché Luciana è riuscita a parlare con l’ufficiale medico della Garibaldi che è stato molto corretto, ci ha dato molti particolari al telefono e ha detto che Ilaria era intrisa di sangue a tal punto che loro da un primo momento avevano pensato fosse colpita in più parti del corpo. L’hanno spogliata e si sono accorti che era un colpo unico. Questo vuol dire che ha continuato a sgorgare sangue fino all’ultimo momento, perciò era un soggetto decelebrato, ma certamente con un cuore pulsante.
MINA’ Quando si fa la televisione bisogna anche convincere la gente che non stiamo facendo parole. Io a questo proposito ho visto i filmati della ABC e quelli della tv svizzera che sono espliciti e confermano quanto voi state raccontando. C’è una sensibilità non solo vostra di genitori, ma dei telespettatori da preservare. Noi abbiamo lasciato solo un’immagine, una perché lo spettatore sappia che non stiamo facendo del sensazionalismo giornalistico. Con la vostra autorizzazione e vi chiedo scusa, ma credo che la battaglia che state conducendo per voi ormai è preminente, si vede chiaramente che dal naso di Ilaria sgorgano gocce di sangue. Ilaria si, è come dice lei dottore, era ancora in quel momento probabilmente viva, non sappiamo cosa avrebbe potuto fare un medico, però era viva. Queste sono alcune immagini del filmato che due televisioni hanno potuto realizzare in quel momento, in quel frangente
RVM Immagini di cronaca corpi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
MINA’ Scusate per la violenza delle immagini. Nella sala di montaggio, rallentando le immagini si vede chiaramente le gocce che escono dal naso. Si vede anche un’immagine abbastanza emblematica. Quando vengono portate via le cose che stanno nell’auto, vengono consegnate a Marocchino una radio e una macchina fotografica. Quella macchina fotografica l’avete ricevuta poi indietro?
LUCIANA ALPI Insieme ai blok notes non ci è mai stata restituita né i block notes, né questa macchina fotografica, i reprti medici, il certificato di morte, noi non abbiamo avuto nulla di tutto questo.
MINA’ E quindi avete avuto problemi anche alla sepoltura di Ilaria
LUCIANA ALPI Noi abbiamo avuto problemi alla sepoltura di Ilaria perché avevamo bisogno del certificato di morte, e siamo andati al Comune di Roma, all’anagrafe per chiedere il certificato di morte. Da un impiegato ci è stato rifiutato perché noi non sapevamo né il nome della strada, né il numero civico cdella casa di fronte alla quale Ilaria era stata assassinata
MINA’ Eè tragico e grottesco questo
LUCIANA ALPI Terribile. Noi ci indignammo moltissimo, e un funzionario ci disse che se volevamo questo certificato di morte, dovevamo dichiarare che nostra figlia era morta in mare. A questo punto avremmo accettato anche questo se nonché la cosa era talmente eclatante e così disperante per noi che fecero uno strappo alla regola e ci dettero poi il certificato di morte
GIORGIO ALPI Ma il certificato originale noi non l’abbiamo mai avuto
LUCIANA ALPI Mai visto
GIORGIO ALPI Come non abbiamo mai avuto in tutti i certificati fatti dalla Garibaldi
LUCIANA ALPI Per esempio questo capitano di vascello Rossitto che sta a Taranto e al quale io ho telefonato (devo dire una persona molto gentile, molto educata), i disse che quando si accorse che Ilaria aveva solamente un colpo alla nuca, fece fare delle fotografie a colori e in bianco e nero e stilò un referto medico sull’unica ferita che aveva Ilaria. Gli domandai dove fosse finita questa documentazione e lui mi disse che l’aveva consegnata al comando navale di Ibis. Noi andammo al Ministero della Marina a Roma, parlammo con un ammiraglio e chiedemmo questa documentazione. Avemmo una corrispondenza con questo ammiraglio a strettissimo giro di posta, lui ci scrisse e ci disse che la documentazione era rimasta due anni e due mesi nei cassetti della Marina Militare
MINA’ E nessun giudice l’aveva mai chiesta?
LUCIANA ALPI L’Ammiraglio ci disse che nel 1996 il dottor Giuseppe Pititto, il secondo PM, dopo De Gasperis, fece la richiesta alla Marina Militare per avere la documentazione. Noi allora chiedemmo il verbale di trasferimento e lui ci rispose che non l’aveva. Chiedemmo poi al nostro perito di parte medico e ai periti della terza perizia, ad uno in particolare, se avevano avuto queste foto tra i reperti che loro dovevano studiare. Queste fotografie non sono mai state date a nessun perito. Non sappiamo dove sono, credo che siano in Procura.
GIORGIO ALPI A tal punto che il perito medico, intervistato da Purgatori del “Corriere della Sera”, disse che, molto probabilmente, se avessero avuto quelle fotografie, non sarebbe stato necessario fare il recupero della salma a distanza
LUCIANA ALPI La riesumazione
GIORGIO ALPI Questa è una cosa gravissima
MINA’ E ogni volta è un dolore, un’altra ferita alla vostra sensibilità
GIORGIO ALPI Fu una cosa molto dolorosa
MINA’ Signori Alpi, voi avete una grande dignità. La sera quando rimanete soli a casa, questa storia che segna la vostra vita, la parte matura della vostra vita
GIORGIO ALPI Ma, forse, dico una cosa che non so se sia… Abbiamo tanto lavorato in questi quattro anni, che forse… Adesso stiamo scrivendo un libro insieme all’On. Griner che ci ha aiutato moltissimo in questa lotta all’amico Torrealta e forse siamo stati sostenuti anche da questa ricerca spasmodica della verità. E questo ci ha aiutato, infatti ci sentiamo qualche volta soli, qualche volta abbiamo avuto un grosso appoggio dell’opinione pubblica che è stato molto utile, però abbiamo avuto grandi delusioni.
MINA’ Io vorrei farvi vedere ancora altre testimonianze allora a caldo dei colleghi Porzio e Simoni e poi subito dopo, quella invece molto più discutibili del generale Fiore e dell’Amb. Scialoja perché come se qualcuno non volesse guardare la realtà. I colleghi si, le istituzioni meno.
RVM
“Senti Giovanni, tu eri presente insieme a Gabriele eravate presenti?
“Quando siamo arrivati abbiamo trovato la strada della Meine bloccata con un sacco di gente, c’erano uomini armati ed alcuni pakistani che erano arrivati, probabilmente dalla nostra ex ambasciata. I corpi di Ilaria e di Miran erano ancora dentro la macchina e la testa insanguinata ed erano già probabilmente morti a quel punto. Li abbiamo estratti dall’automobile e caricati sulla Toyota di Marocchino che nel frattempo si era messo in contatto con il contingente italiano. E hanno mandato un elicottero al porto per trasportare poi le salme sulla nave”
“Abbiamo visto che erano stati uccisi con un colpo alla testa tutt’e due, quindi abbiamo capito che non era uno sbaglio, non era uno scontro a fuoco, non era una pallottola che li aveva colpiti per caso, era stata una esecuzione”
“Generale Fiore, ci puo’ dare maggiori dettagli sulla dinamica dell’incidente?”
“I due giornalisti che erano rientrati da un viaggio a Mombasa si stavano dirigendo verso l’Hotel Haman che era vicino alla nostra ex ambasciata e verosimilmente, per usufruire del terminale Ansa che è lì. Sono stati seguiti da una macchina con sei uomini armati nei pressi dell’ambasciata questa autovettura ha sopravanzato quella dei giornalisti, l’ha bloccati, si sono avvicinati e li hanno freddati con la tecnica da mafiosi.
“Quante persone si trovavano sulla macchina di Alpi?”
“Sulla macchina c’erano due giornalisti e davanti c’era Hrovatin e dietro c’era la signora Alpi, sulla destra, sulla sinistra della macchina c’era l’autista e un uomo di scorta”
“L’autista e il somalo di scorta sono rimasti illesi?”
“Si, si”
“Quindi è stato un attacco premeditato contro i due italiani”
“Si, si”
“Secondo lei quali possono essere i motivi che stanno dietro questa aggressione”
“Secondo me si tratta di movimenti fondamentalisti”
“Si è trattato chiaramente di un attacco diretto ad uccidere, di un attacco che può essere ritenuto di matrice politica anche se nulla, ripeto nulla possa ritenere che sia stato un attacco diretto contro due cittadini italiani, di più contro due giornalisti italiani”
“Matrice politica di che tipo, da quale parte, da quale banda diciamo?”
“Io ritengo che si tratti di qualche gruppo di minoranza, tenuto conto che il negoziato fra le quindici fazioni somale attualmente in corso a Mogadiscio sembra che proceda meglio di quanto non fosse lecito sperare alcuni giorni fa e sembra che tra poco potremmo avere un comunicato congiunto di Alemni e Adid che annunci la formazione o le linee generali perlomeno di quello che potrebbe essere un governo provvisorio”
MINA’ L’ambasciatore dice qualcosa che poi non avverrà, non si metteranno d’accordo. Alì Madi era…
GIORGIO ALPI Ancora oggi
MINA’ Era il delfino di Siad Barre, l’Italia puntava sul delfino del dittatore, allora ed è per questo che anche il terribile Aidid, pur con tutte le sue responsabilità, aveva un atteggiamento così aggressivo, così duro. Le nazioni occidentali puntavano per la conservazione di quella che era stata la linea del dittatore. Nei servizi molto onesti di Ilaria c’era questa contraddizione somala e anche questo dubbio che il mondo di cui noi facciamo parte di cui lei era inviata, fosse piuttosto ambiguo nelle sue scelte politiche in Somalia. Come si era formata Ilaria, quale era stata la sua formazione culturale?
LUCIANA ALPI Ilaria aveva fatto naturalmente i liceo classico
MINA’ Dove?
LUCIANA ALPI Al Lucrezio Caro di Roma. E’ stata sempre una ragazza alla quale piaceva molto leggere. SI interessava sempre a moltissime cose, era una ragazza piena di interessi. Poi quando scelse questa facoltà, vinse delle borse di studio, andò in Tunisia, andò al Cairo, finita poi, dopo la laurea, si trasferì al Cairo e ci rimase tre anni e mezzo, si iscrisse all’Università Americana per specializzarsi meglio nella lingua araba parlata e scritta e poi lei in fondo era una ragazza prima e giovane donna dopo che ha molto amato l’Africa. Lei era sempre come una persona che difende i più deboli, lei stava sempre dalla parte dei più deboli e questo l’ha dimostrato anche nei suoi viaggi in Somalia, a Mogadiscio, perché lei soprattutto la si vedeva sempre accanto alle persone
MINA’ Alle donne…
LUCIANA ALPI Alle donne, ai bambini. Certo, andava ai briefing militari perché è logico, le notizie le doveva avere
MINA’ Quelle ufficiali
LUCIANA ALPI Quelle ufficiali. Ma poi era una che voleva sempre controllare le notizie da qualsiasi parte venivano, prima di divulgarle lei le ha sempre verificate
GIORGIO ALPI Io vorrei aggiungere una cosa. Era tale l’impegno, lei era iscritta ad una associazione femminista somala che nasceva allora. Infatti fu fatta anche la supposizione che era stata uccisa per questo, tesi insostenibile, ma ad ogni modo che dà il significato al suo impegno perché lottava contro l’infibulazione, quando nessuno ancora aveva parlato di questa tremenda pratica e lei aveva avuto questi contatti e c’è una immagine, che a noi forse è la più cara, di Ilaria che è in mezzo alle donne somale e le toccano i capelli biondi, che per loro erano un po’ una rarità. Poi abbiamo saputo che erano donne che erano state scarcerate che lei era andata a trovare.
MINA’ Qual era il rapporto con questo piccolo papà medico?
GIORGIO ALPI E’ difficile… Ci adoravamo, ci volevamo bene, discutevamo ogni tanto sopra alcune cose
MINA’ Aveva fatto politica lei in Italia, all’università?
GIORGIO ALPI Aveva avuto il momento femminista che aveva vissuto con distacco, però con una partecipazione molto attenta. Secondo me dare definizioni è difficile. Era una donna che aveva avvicinato tutti i movimenti che le interessavano … Io ho sempre avuto un’impressione in Ilaria era come se dovesse riscattarsi dalle colpe coloniali, era una cosa che lei sentiva moltissimo, leggeva, abbiamo ritrovato nella sua biblioteca tanti libri su questo. I rapporti fra il papà e Ilaria… Mi chiedeva come mi comportavo da ragazzo, se avevo avuto delle fidanzate, mi pigliava in giro, era un rapporto dolcissimo e, come ha detto Luciana prima, noi sapevamo tutto di lei e lei voleva sapere come ci eravamo conosciuti…
MINA’ Non vi aveva detto che era stata vicina a sposarsi?
LUCIANA ALPI No, lei aveva avuto ovviamente degli amori non molto fortunati debbo dire, però soffriva al momento e poi diceva: “Verrà quello giusto”.
MINA’ E con la mamma?
LUCIANA ALPI Con la mamma c’era un ottimo rapporto
MINA’ Lei signora si vede che è una donna di carattere
LUCIANA ALPI E lei aveva questo mio stesso carattere. Ilaria era molto impulsiva, ma soprattutto
GIORGIO ALPI Quando si arrabbiava diventava un’aquila. C’è soprattutto una cosa strana: in Ilaria a Roma cambiava completamente. Se andavamo a pigliare un caffè ad esempio, e io le chiedevo cosa
volesse, lei mi rispondeva: “Papà, chiedilo tu un bicchiere d’acqua” ed era una donna che girava il
mondo. Quando era qui era diversa
MINA’ Lei, Signora, diceva “soprattutto”?
LUCIANA ALPI Soprattutto una grande forza di volontà. Anche le cose che lei riteneva più scabrose, più difficili, se decideva di farle, magari a costo di sommi sacrifici, le faceva
MINA’ Era una delle non tante giornaliste entrate per concorso alla Rai
LUCIANA ALPI Si, io mi sento un po’ in colpa, perché lei quel concorso non lo voleva fare, infatti aveva saputo che c’erano quasi seimila concorrenti e mi aveva detto: “Mamma, vuoi che io vada a fare un concorso del genere?”. Noi la spingemmo, soprattutto io, infatti lei, agli amici raccontava: “Questo è il concorso di mia madre”. Lo fece e andò benissimo perché agli scritti risultò la prima. E poi entrò in Rai
MINA’ Io sono molto orgoglioso, come collega più anziano, di mostrare questo servizio di Ilaria dopo la morte dei colleghi Lucchetta, Orte e D’Angelo in Bosnia, perché c’è tutto il modo di Ilaria di interpretare la professione
RVM
“Dare le notizie fino alla morte, non fermarsi di fronte a nulla pur di testimoniare una guerra che troppe volte è stata dimenticata. Reporter di una guerra senza un fronte chiaro, una differenza netta tra buoni e cattivi. Sono ormai sessanta i giornalisti, fotografi , teleoperatori morti in due anni e mezzo di conflitto in Bosnia, eppure si continua a partire. Per qualcuno si tratta di una missione, non è più un semplice mestiere. Tante sono state le polemiche contro il ruolo della stampa nel conflitto, ma l’occhio della telecamera è stata spesso l’unico modo per testimoniare. A molti è costato la vita. I giornalisti che hanno lavorato in Bosnia, se la vita non l’hanno persa, sicuramente non vivono più come prima. Nel ’93, cinquantasei sono morti per coprire le guerre dovunque nel mondo e lo hanno fatto perché credevano in qualcosa e, al di là della retorica, forse hanno dato di più di quello che la loro professione richiedeva.”
MINA’ C’è una etica profonda e anche un credo nella propria professione che molti di noi non hanno più. Lei lo prendeva come una missione quasi.
LUCIANA ALPI Lei faceva questo lavoro secondo me, con molta dedizione e con molta serietà. Certo, quando ha detto quelle parole, secondo me non avrebbe mai immaginato che anche lei, poi, a distanza di pochi mesi sarebbe venuta a mancare. Lei nelle cose che faceva nella vita era molto seria, faceva le cose con molta onestà. Lei prima ha chiesto se Ilaria si era interessata di politica. Certamente quando lei aveva diciotto anni, viveva impulsi di quei tempi però non si era mai legata a nessun partito, perché lei si riteneva una donna libera, una donna che poteva vivere benissimo in Italia, o in Africa e in qualsiasi parte del mondo
MINA’ Vorrei fare un accenno a Miran Hrovatin. Anche perché ha lasciato un bambino. C’è un filmato di quei giorni, con tutta la discrezione, perché poi ognuno vive questi momenti a seconda anche delle proprie possibilità di urlare il proprio sdegno, di urlare la propria voglia di giustizia. Credo sia giusto perché lui ha preso il posto di altri essendo un free lance, essendo un operatore di un piccolo gruppo, una piccola cooperativa, che si era offerto, dopo la Bosnia, di provare anche l’esperienza della Somalia
RVM
“A Trieste, colpita due volte in tre mesi da un destino maligno, la salma di Miran Hrovatin giungerà nella notte. Il feretro sarà trasportato nella cappella civica della Chiesa del Rosario. Il giorno successivo, mercoledì, i funerali. Di Miran, con il quale molti di noi hanno lavorato, ognuno ricorda una simpatia umana pari solo alla sua efficienza e dalla sua gran voglia di lavorare per quanto difficili, e questo gli è capitato molto spesso, fossero le condizioni ambientali.
“Pensare a Miran morto è una cosa assolutamente assurda perché aveva già lottato contro la morte. Ed era in qualche modo il simbolo della vitalità. Era uno che era fin troppo vivo, a volte. E’ difficile pensarci, penso alla moglie, al bambino, alla disperazione. Ma pensare che non ci sia più penso a una cosa assolutamente assurda. La morte e Miran sono due cose che non riuscivano a coniugarsi assieme nell’immagine che io ho in mente. Trieste è stata colpita in modo infame per fare il nostro lavoro. Voi come giornalisti, noi perché viviamo di questo, viviamo di questo lavoro, lo facciamo credendoci”
MINA’ Ora entriamo in un altro dei motivi della vostra amarezza, il ritorno delle salme di Ilaria e di Miran Hrovatin dalla Somalia e tutto quello che è successo in questo viaggio e all’arrivo. Voi avete dovuto cercare a fatica la verità. In quei giorni chi vi è stato vicino?
LUCIANA ALPI Noi abbiamo saputo dalla morte di Ilaria attraverso la telefonata di una collega del tg3 che ho preso io, tra l’altro. Ero incredula perché avevo parlato due or prima con Ilaria e questa notizia lascio immaginare come mi ha sconvolta. Ero disperata. Poi l’ho detto a Giorgio. Non è venuta una autorità istituzionale a casa nostra a dirci come Ilaria era stata uccisa, perché il come lo sapevano i medici della “Garibaldi”, il generale Fiore, il generale Cantone, i giornalisti presenti. Perché nessuno ha pensato di farci avvertire, di mandare una persona delle istituzioni a dirci: Ilaria è stata uccisa con un colpo alla nuca? Perché questo ci ha tolto la tenerezza di vedere per l’ultima volta nostra figlia. Quando ci hanno chiesto il riconoscimento del corpo di nostra figlia, il giorno dei funerali, noi non ce la siamo sentita di andare a riconoscere un corpo che sapevamo crivellato di colpi, come ci avevano detto. E allora ci sostituì mio cognato e mio fratello. Quando loro tornarono ci dissero che Ilaria aveva il corpo integro e la testa solo fasciata. Ci hanno tolto la tenerezza, a me come madre, di poterle mettere un vestito decente. E’ rimasta nella bara con un grembiule verde che i medici della Garibaldi le avevano indossato. Allora io dico, come può un comando militare – Ilaria li conosceva tutti i comandanti che si sono susseguiti alla testa del comando Ibis Uno e Ibis Due – perché non hanno mandato qualcuno? Perché hanno fatto trascinare quei due corpi come se fossero due animali senza mandare un elicottero, far scendere un medico con il verricello, constatare la morte o non la morte di nostra figlia? Perché ci hanno raccontato bugie, bugie che avevano fatto quello che avrebbero dovuto fare? Questo è quello che noi denunciamo. Lo denunciamo al Ministro della difesa al quale abbiamo scritto e non siamo mai stati ricevuti. Dobbiamo dire che siamo stati ricevuti con molta delicatezza e umanità dalla Commissione difesa, una settimana fa. Ma il ministro non ci ha sentito, non ci ha voluto vedere, non siamo stati ricevuti. Perché noi vogliamo sapere perché il generale Fiore ha mentito. Questo noi vogliamo sapere. Non è una lotta che vogliamo fare, noi vogliamo sapere perché ha mandato una lettera di menzogne.
MINA’ Quando?
LUCIANA ALPI Il 20 maggio del ’94. A due mesi dalla morte di Ilaria ci ha inviato una lettera falsa, piena di bugie per la quale io poi sono stata querelata perché ho detto le parole che avevo detto e assolta. La Procura farà il suo corso, ma il nostro governo e il Ministro della difesa in particolare dovrebbe provvedimenti amministrativi. Non possono avere un generale con una etichetta di due tribunali che è bugiardo e inaffidabile. Noi vogliamo sapere perché ha mentito
MINA’ Cosa sosteneva il generale Fiore?
LUCIANA ALPI Che aveva mandato i Carabinieri a recuperare i corpi sul posto. Non c’erano e questo è provato dalle videocassette e dalle testimonianze. E inoltre sosteneva che aveva mandato i Carabinieri a fare i bagagli. Non è vero…
MINA’ I bagagli li aveva fatti Gabriella Simoni e Giovanni Porzi, trovando tutti e cinque i block notes di Ilaria che poi a voi ve ne sono stati restituiti solo due
LUCIANA ALPI Uno completamente intonso e uno con poche pagine scritte e poi ha aggiunto che aveva mandato un inventario degli effetti personali di Ilaria e li aveva dati a Gabriella Simoni. La giornalista lo ha smentito perché non era vero. Ma perché questi silenzi? Ci continuano a dire che noi ce l’abbiamo con le istituzioni, ma noi non ce l’abbiamo con nessuno, li stimiamo tutti, ma vogliamo che le persone che non sono stimate vengano punite o che diano delle spiegazioni. Il generale Fiore, dopo averci mandato la lettera, a distanza di quattro mesi, nell’autunno del ’94, è venuto a casa nostra. Mi sono permessa di dire una frase che a un generale non si dovrebbe mai dire, ma lo volevo aiutare: “Forse qualcuno non le ha obbedito”. Era il momento in cui lui poteva dirci: “Io quella lettera ve l’ho mandata per pietà, per tenervi tranquilli, però noi non potevamo fare quello che abbiamo fatto”. Abbiamo saputo che nelle ore contigue all’assassinio di Ilaria e di Miran, sulla nave “San Giorgio”, i nostri militari facevano prove e gare di pesca. Questo lo abbiamo estrapolato dai registri di bordo che la Marina Militare ha mandato alla Commissione bicamerale. Allora, mentre due connazionali morivano come due animali per la strada, i nostri militari giocavano a fare le gare di pesca. Il comandante cosa faceva, l’arbitro? A quel punto, se lui non poteva mandare nessuno, poteva rivolgersi agli altri contingenti degli altri paesi. C’erano novemila Caschi blu a Mogadiscio. Poteva chiedere aiuto agli altri contingenti
MINA’ Ai Pachistani, nella ex ambasciata italiana, ad un passo dal luogo del massacro
LUCIANA ALPI I Carabinieri del battaglione Tuscania, erano presenti in tredici o in quattordici
GIORGIO ALPI Quindici
LUCIANA ALPI O quindici. Perché non hanno fatto una piccola inchiesta? Perché per esempio, non hanno fermato l’autista e la guardia del corpo di Ilaria? Perché non gli hanno sequestrato le armi che avevano in dotazione e non gli hanno fatto fare un verbale di quello che era successo? Non è stato fatto un minimo tentativo di inchiesta
MINA’ I tribunali italiani che cosa hanno fatto fino ad ora?
LUCIANA ALPI Si sono susseguiti tre magistrati in quattro anni e adesso abbiamo saputo che il 21 settembre ci sarà la prima udienza del GIP, del Giudice per le indagini preliminari, perché il Pubblico Ministero Franco Ionta ha chiesto la incriminazione per il somalo che è in carcere dal 15 gennaio
MINA’ Che era venuto con una delegazione di somali…
LUCIANA ALPI Per chiedere il risarcimento sulle presunte torture che avevano subito. Uno di questi undici somali è stato riconosciuto come facente parte il commando che ha assassinato Ilaria e Miran. Per questo è stato incarcerato, sono sei mesi che è in carcere e adesso il PM Ionta ha chiesto al Gip di rinviarlo a giudizio. Questo avverrà il 21 di settembre.
MINA’ Ionta è succeduto al giudice Pititto che è stato deposto da un giorno all’altro…
LUCIANA ALPI Gli è stata tolta l’inchiesta e noi abbiamo chiesto al Procuratore capo della Procura di Roma che cosa era successo, perché era più di un anno che eravamo in contatto con il secondo giudice. Ci è stato detto che il dottor Pititto e il dottor De Gasperis, bravissimi magistrati, conducevano le indagini con due sistemi diversi. Per cui il Procuratore capo ha avocato a sé l’inchiesta di Ilaria, affiancato al Pm Ionta
MINA’ Ma Pititto non era succeduto a De Gasperis?
LUCIANA ALPI Si, certamente, ma tanto queste cose burocratiche che noi non conosciamo, non era mai… Sosteneva che tutte e due continuavamo a fare l’inchiesta su nostra figlia
MINA’ Io ora vi mostro un filmato del ritorno di Ilaria e di Rovatin a casa perché ci sono anche lì delle immagini che sicuramente lasciano perplessi su molte verità taciute e dopo introdurremmo un testimone, e la parte finale di questo tentativo di dar voce alla vostra amarezza e faremo entrare un testimone, collega di Ilaria, che sta dedicando una parte della sua vita di giornalista proprio affiancare voi e questa ricerca della verità. Queste sono le immagini di quel giorno
RVM
“Soltanto a notte fonda le spoglie di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin hanno potuto toccare il suolo italiano. Questa è la tappa a Luxor, al termine di un viaggio tortuoso, simile a quello che i due inviati solevano compiere per le loro missioni. Stavolta sono però rientrati così, chiusi in due bare metalliche, avvolte nella bandiera della Marina, estremo gesto di rispetto a nome di tutti i militari italiani impegnati in Somalia, anch’essi oggetto di reportages di Ilaria e di Miran. Le salme sono state imbarcate ieri mattina a Mogadiscio su un velivolo dell’aeronautica. Poi in Egitto, dopo due scali, trasferite sul DC9 messo a disposizione dalla Presidenza del Consiglio. Un volo speciale sul quale oltre a un rappresentante della Farnesina, si trovavano anche De Mattè e Locatelli, presidente e direttore generale della Rai. Con loro un gruppetto di giornalisti, per lo più colleghi e amici di Ilaria Alpi con la quale fino a pochi giorni fa avevano deciso proprio l’esperienza somala. Ma stavolta non si è trattato di un servizio di routine, stavolta, nella presenza di molti di noi c’era una volontà di una partecipazione. Quando alle due e mezza di questa notte il DC9 è atterrato a Ciampino, ad attendere le salme, oltre ai genitori di Ilaria Alpi e a un picchetto d’onore dell’aeronautica, c’era quasi tutta la redazione del tg3. E sono stati i colleghi più stretti a caricarsi sulle spalle la bara della sfortunata giornalista. Poco dopo l’aereo è ripartito per Trieste con le spoglie di Miran Hrovatin, un veterano della guerra in Bosnia assassinato con la giovane collega sotto il sole della Somalia con un colpo in fronte, forse senza un perché”.
MINA’ Quale testimone di questa amara vicenda, io ho chiamato il collega di Ilaria, Maurizio Torrealta. Faticosamente, per quanto si può fare in una trasmissione che sarebbe un viaggio nella vita di una famiglia, di una persona e che poi in questo caso diventa una denuncia, siamo arrivati ad un punto cruciale, quattro anni dopo la morte, l’assassinio di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin e ti domando, a che punto stiamo? Siamo ancora a un punto di vergogna per quello che riguarda la dignità di un paese quando succedono queste storie?
TORREALTA. Ci sono due livelli di verità, c’è il livello istituzionale che è un livello povero, misero, tant’è che le inchieste della Magistratura si sono susseguite una su l’altra, non sono arrivate per ora a nulla e secondo me non hanno preso, per quello che posso valutare io, la strada giusta. Senz’altro non hanno messo in relazione all’omicidio con quello che invece il punto di vista giornalistico sembra emergere, cioè il traffico di armi. E poi c’è invece un altro livello di verità che è la verità della società civile, delle persone che incontrano spesso Giorgio e Luciana che è la consapevolezza diffusa della gente, abituata a capire come sono andati i fatti, non per quello che viene raccontato dalle istituzioni, ma per una triste esperienza pratica. Da cinquant’anni noi abbiamo visto una serie di episodi misteriosi con una spiegazione che tutti riescono ad intuire, ma, come scriveva Pasolini: “Io conosco chi ha messo le bombe, ma non so dirvi come le ha messe” e la stessa cosa vale per questo caso, che si collega a questa sequenza di episodi. C’è anche una verità giornalistica, che non è soltanto basata sulle intuizioni, ma su una logica precisa. Noi abbiamo intervistato delle persone che hanno lavorato su questa nave e ci hanno raccontato (ed è andato in onda) che i somali facevano il traffico di armi. Siamo tornati a parlare con il Sultano di Bosaso, l’unica persona che ha intervistato Ilaria, e ci ha raccontato che queste navi facevano un traffico di armi, dicendoci anche di più. Prima dell’intervista mi ha confessato: “Io se dico la verità muoio, mi ammazzano”. Glie l’ho anche chiesto durante l’intervista, di cosa ha paura e lui, naturalmente, ha svicolato. Ricordiamoci che questo signore, quando parlava del sequestro della nave, diceva: “Noi abbiamo sequestrato”, quindi s’è trovato in una situazione in cui una giornalista faceva una domanda e lui, praticamente con le sue risposte, stava trattando per il riscatto. Ha utilizzato, quindi, in qualche modo Ilaria, perché parlare con un giornalista voleva dire: “State attenti che io racconto quello che succede e quello che c’è su questa nave”. Su quello che portava questa nave, io non so cosa ci fosse con certezza, però posso fare delle ipotesi. Pensate che alla Commissione di inchiesta sulla cooperazione, il generale Fiore ha raccontato, senza peraltro che nessuno glie lo chiedesse, che lui aveva messo a punto un dispositivo militare per intervenire e liberare questa nave. Il generale Fiore faceva parte di una missione militare che aveva una specifica area di intervento, pacifica per altro, a Mogadiscio, della grandezza di duecentocinquanta chilometri per trecento circa, quindi non aveva nessuna competenza ad intervenire in una zona dove non c’era neanche la guerra civile, a nord, a milleduecento miglia di distanza, come tra Palermo e Trento. Perché aveva messo a punto un dispositivo militare per intervenire con due navi e due elicotteri per liberare una nave, per altro somala? Non aveva nessuna legittimità, anche se c’erano tre persone italiane, e comunque senza logica apparente, visto che non sono neanche intervenuti quando Miran e Ilaria sono stati feriti. Allora, questo mi fa capire che su quella nave ci doveva essere qualcosa di estremamente importante e delicato, rischioso anche dal punto di vista della politica internazionale, perché non si doveva sapere che su quel cargo cerano delle armi, non si doveva sapere che da una parte l’esercito disarmava le fazioni in lotta, dall’altra le armava. E questa poi è una tragica situazione, guarda caso la guerra viene sempre alimentata nelle zone dove c’è petrolio. La Somalia è una zona che tutti sanno che contiene petrolio e si continua ad alimentare una guerra senza fine, così come in Algeria o in altre zone
MINA’ Noi vogliamo far vedere ora un brano di un tuo servizio che conferma l’instancabile ricerca che stai facendo. Lì c’è il passaggio fondamentale della famosa intervista di Ilaria con il sultano di Bosaso, ma c’è anche una affermazione del discusso imprenditore Marocchino, un attimo dopo l’assassinio di Ilaria e di Miran. E’ importante osservare che oltre alla macchina fotografica e alla radio di Ilaria, ha in mano anche il block notes di vostra figlia
RVM
“Dopo le diverse testimonianze raccolte da noi del Tg 3 sul presunto traffico di armi che si sarebbe svolto tramite le navi donate dalla cooperazione italiana alla Somalia, vogliamo questa sera riprendere una misteriosa frase, in una delle ultime interviste fatte da Ilaria, quella al sultano di Bosaso. Ilaria chiede delle navi donate dalla cooperazione e utilizzate in maniera privata fuori dalla Somalia. Una di queste è stata appena sequestrata dai miliziani somali. La ripresa si interrompe e ricomincia a metà di un discorso. Fate attenzione a questa frase.
Sultano di Bosaso: “… Venivano da Roma, da Brescia da Torino, dal Regno sabaudo (dal Piemonte) a maggioranza”.
Ma cosa? Qual è il soggetto di questa frase? Brescia è la capitale di produzione di armi. Certo, non stanno parlando di pesce, con ogni probabilità parlano di armi e se così fosse, per saperne la provenienza, devono parlare di spedizioni intercettate. Ilaria è stata uccisa poche ore dopo questa intervista. Sentiamo il commento, dopo la morte, fatto alla televisione svizzera da Giancarlo Marocchino, uno dei pochi italiani rimasto a Mogadiscio: “Allora non è stata una rapina, si vede che sono andati in certi posti dove non dovevano andare”
Torrealta: “C’è una spiegazione a questi agguati improvvisi, senza senso?”
Marocchino: “Poi ci sarà, io penso che ci sia una spiegazione”
MINA’ I taccuini, i block notes di Ilaria in aereo chi li ha sottratti?
LUCIANA ALPI Non sappiamo se sono stati sottratti sull’aereo. La mia convinzione è che siano scomparsi sulla nave “Garibaldi”, perché i bagagli di Ilaria e di Miran sono stati tutta una notte lì, mentre sull’aereo G222 dove i bagagli erano in mezzo ai passeggeri, non credo avessero potuto aprire una valigia e togliere i sigilli. Noi abbiamo visto in questo filmato l’arrivo dei bagagli di Ilaria a Luxor, dove la “Sansonite” di Ilaria aveva i sigilli, poi, però, quando l’abbiamo ricevuta a Ciampino, non c’era l’ombra del sigillo sulla valigia di nostra figlia.
MINA’ Lei signora mi parla della nave “Garibaldi”, ma è sul tratto Luxor-Roma che è successo qualcosa…
LUCIANA ALPI Questo è vero… Non le so dire, a me pare che il tempo più lungo sia passato sulla nave “Garibaldi”, i bagagli erano lì. Però… Certo, dopo aver visto questo filmato che io non avevo mai visto, m’ha fatto molta impressione vedere la “Sansonite” di Ilaria sigillata a Luxor e a Ciampino non lo era più
MINA’ C’è anche un’altra storia, quella dei due fogli di …
LUCIANA ALPI Si, i due fogli protocollo che il comandante della nave “Garibaldi” aveva messo in una delle due buste, prese stranamente dall’ambasciatore Umberto Plaja dell’Unità di crisi e restituiteci tre mesi dopo la morte di Ilaria. Io mi domando, con qualche autorità questo signore si è permesso di prendere questi documenti di nostra figlia? Perché li hanno trattenuti per tre mesi? Sicuramente si indagherà a fondo, perché questa è una cosa molto inquietante
MINA’ Una spiegazione ufficiale vi è stata data?
LUCIANA ALPI Perché era sporchi di sangue, e sono stati così delicati con noi che non ci hanno restituito questi due fogli protocollo, perché ci avrebbe dato fastidio vedere il sangue di nostra figlia
MINA’ Tu hai avuto contatti con il generale Fiore?
TORREALTA Ci siamo parlati in occasione di una trasmissione del “Maurizio Costanzo Show” e per telefono ci siamo sentiti alcune volte
MINA’ Come ti sembra, un militare come molti del nostro paese, ostaggio di realtà più grandi di loro?
TORREALTA Si, esatto. Io penso che il generale Fiore sia l’unico che viene a pagare di questa operazione che, senz’altro, non è stata orchestrata da lui. E’ una operazione dei servizi, perché non credo che il traffico di armi venga fatto dal nostro esercito, viene fatto dai nostri servizi. Il generale Fiore in qualche modo è coinvolto, deve coprire questa operazione, ma non è completamente in sintonia. Mi meraviglia, infatti, che lui in commissione, quasi involontariamente, abbia parlato di questo dispositivo militare che il generale stesso aveva messo a punto per liberare quella nave, indicando un interesse per quel peschereccio che ci ha molto colpito. Credo che tra servizi ed esercito non ci sia l’accordo perfetto su questo argomento
MINA’ Dottor Alpi, Lei è un uomo di un’altra generazione. Come finirà questa storia?
GIORGIO ALPI E’ una risposta complicata da dare. La mia generazione ha dovuto fare delle scelte difficili, poi abbiamo sognato molto. Credevamo che cambiasse, ci abbiamo sperato, e adesso ho molte disillusioni. Pare che non si voglia arrivare alla verità, c’è come un rifiuto e Ilaria fa parte di una storia trentennale. Sono storie, io sostengo, fatte con la carta copiativa, sono tutte uguali, da Piazza Fontana in poi. Non si vuole sapere la verità, perché fa paura, perché implica responsabilità e revisioni di situazioni
MINA’ Vuol dire che quest’altra Italia è ancora potente e può ancora contrapporsi a qualunque governo si succeda…
GIORGIO ALPI Si, perché il potere vero ce l’hanno ancora in mano le persone che l’hanno sempre avuto, che poi non hanno neanche partito, sono pronti ad andare con tutti
MINA’ Luciana, l’ultima parola a Lei…
LUCIANA ALPI Devo dire che dopo l’assassinio di Ilaria, con il cambiamento, con tutto quello che noi ci aspettavamo da questa nuova attuale coalizione, avevamo una speranza che la verità venisse fuori. Abbiamo avuto, invece, molte delusioni, perché la verità si sarebbe dovuta scoprire subito. Ci siamo accorti che noi, da quattro anni e quattro mesi, andiamo a bussare a tutte le porte per avere chiarezza, per avere verità. Qualche volta abbiamo una pacca sulla spalla e qualche altra volta una porta in faccia
MINA’ Signori Alpi io vi ringrazio, forse vi ho anche un po’ torturato, ma questo mestiere è un po’ fatto così, ed era il mestiere di vostra figlia Ilaria. Scusate se qualche immagine era un po’ troppo forte. La storia della vostra famiglia l’abbiamo conosciuta attraverso le vostre parole, attraverso i vostri silenzi e le piccole commozioni. Grazie anche al collega Torrealta di fare del nostro mestiere ancora qualcosa di serio e speriamo che qualcuno abbia la volontà, vedendo questa trasmissione, di capire che non si possono più tacere le cose e che un paese non cresce se la verità viene calpestata. Grazie.