I coniugi Alpi a “Storie”
Questa è il resoconto dattilografico della puntata che feci per Storie ai coniugi Alpi, 4 anni dopo la morte, a Mogadiscio, della loro figlia Ilaria e di Miran Hrovatin, il cameraman che viaggiava per lavoro con la giovane giornalista.
Ad oggi, la vicenda di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin non è stata ancora chiarita. Ricordo la dignità, la compostezza e il dolore di Giorgio e Luciana Alpi. Spero non si dimentichi il sacrificio di questa mia giovane e brava collega.
I CONIUGI ALPI
Roma, 20 luglio 1998
RVM
Dall’ intervista di Ilaria Alpi al sultano del Bosaso: “Gli italiani hanno occupato qua e hanno arrestato mio nonno, il mio bisnonno”
ILARIA ALPI: “Quando?”
Sultano: “Nel ’27, credo, dopo tre anni di guerra.
Ilaria “E quindi che memoria ha degli italiani qui?
Sultano: “Discreta”
Ilaria: “Anche se adesso non sono lontani, sono a Mogadiscio, non hanno fatto niente per questa regione?
Sultano: “Non hanno fatto niente. Non voglio commentare ma hanno fatto poco o niente”
Ilaria “E perché, dopo che invece il Fai aveva costruito un ospedale, una strada, non c’è stato più niente secondo lei?”
Sultano: “Questo era l’interesse dei governanti di allora, nostri e vostri”
Ilaria “E oggi invece?”
Sultano: “Non c’è stato un grosso scandalo su questo?”
Ilaria “Lo scandalo ancora in corso!”
Sultano: “E’ ancora in corso… Pensavo che avevate conciliato”
Ilaria “Siamo un po’ somali anche noi… Che cosa pensa dell’intervento delle Nazioni Unite in questa zona? E’ stato o non è stato sufficiente?”
Sultano “Noi non abbiamo visto le Nazioni Unite, abbiamo visto il funzionario delle Nazioni Unite che sta qua e si guadagna il pane”
Ilaria “Secondo Lei, di cosa ci sarebbe bisogno, se potesse chiedere?”
Sultano “Una brava persona mi ha esposto questa domanda almeno un migliaio di volte… Abbiamo bisogno di tutto”.
Ilaria “Secondo Lei, come mai l’attenzione internazionale si è concentrata su Mogadiscio e ha un po’ dimenticato il resto della Somalia, soprattutto queste regioni?”
Sultano “Perché i mass media mondiali hanno bisogno delle cose brutali e a Mogadiscio succedono cose brutali”.
MINA’ Queste risposte beffarde di Abdullahy Mussa Bogor, sultano di Bosaso ad Ilaria Alpi, è possibile nascondano la spiegazione dell’uccisione della giornalista di Rai 3 e dell’operatore Miran Hrovatin, quattro anni fa a Mogadiscio. “I mass media – afferma il sultano – hanno bisogno di immagini brutali e spesso – sottintende – non sono interessati alla verità”. La storia di Ilaria Alpi, studiosa del mondo arabo, entrata alla Rai per concorso e di Miran Hrovatin, coraggioso operatore free-lance, uccisi in Somalia nel marzo del ’94, conferma questo dubbio sgradevole. Nessuno, né i tre giudici per le cui mani è passata l’inchiesta, né le autorità militari italiane che allora erano impegnati a Mogadiscio nelle operazioni Idis, né i parlamentari di governi che si sono succeduti negli ultimi quattro anni, hanno infatti dato l’impressione di sentire l’esigenza morale e politica o anche solo umana di cercare veramente il perché di quelle due esecuzioni e chi sono i mandanti. Tutto il comportamento dell’apparato militare, diplomatico e politico è stato inquietante fin dall’inizio, come per le stragi degli anni ’70 –’80 o per la tragedia di Ustica. Dai soccorsi negati dal corpo di spedizione italiana un attimo dopo l’agguato ai due giornalisti, alla constatazione che il primo a prodigarsi sul luogo dell’eccidio sia stato, chissà perché, Giancarlo Marocchino, un imprenditore italiano molto chiacchierato in Somalia. Dalla sparizione di molte delle videocassette girate da Miran Hrovatin in quella trasferta, visto che ne erano state trovate soltanto sei, alla accertata sottrazione dai bagagli di Ilaria Alpi, di alcuni block notes che i colleghi, Giovanni Porzi e Gabriella Simoni, quando raccolsero le cose di Ilaria dalla camera d’albergo di Mogadiscio, avevano verificato essere almeno cinque, mentre alla famiglia ne sono stati consegnati soltanto due. E poi l’ambiguità in questo frangente dei funzionari Unosom, United National Operation in Somalia e delle autorità locali. Luciana e Giorgio Alpi, i genitori di Ilaria, non riescono ad accettare che la loro figlia unica, sensibile, onesta, appassionata, che si era preparata per non essere una giornalista qualunque, sia stata privata della vita per una squallida storia di mala cooperazione o di traffico di armi, due tipici meccanismi con cui l’economia dei paesi ricchi, spesso turlupina, saccheggia, mortifica il Sud del mondo. Papà e mamma Alpi sono venuti a raccontarci la loro storia familiare e perché non si vogliono arrendere.
MINA’ Luciana e Giorgio Alpi, quattro anni dopo la morte di vostra figlia Ilaria, è più grande il dolore per la sua scomparsa, o l’amarezza per l’impunità di cui hanno goduto gli assassini e coloro che hanno fatto in modo che la verità non arrivasse alla conoscenza della gente?
GIORGIO ALPI Il dolore è sempre enorme e non si lenirà mai. L’amarezza è altrettanto grande perché in questi quattro anni e quattro mesi, per l’esattezza, noi abbiamo trovato un’infinità di muri, ma non ci arrendiamo, siamo sempre più determinati a volere a tutti i costi la verità, soprattutto sui mandanti. Questo parrà cinico da parte di una madre, ma gli esecutori mi interessano fino ad un certo punto. Noi vogliamo sapere perché Ilaria è stata assassinata, che cosa aveva scoperto e chi sono i mandanti.
MINA’ Il muro di gomma del silenzio e del depistaggio lo avete trovato ovunque, anche nelle autorità italiane?
GIORGIO ALPI Soprattutto dalle autorità italiane, perché noi purtroppo con quelle somale non abbiamo mai avuto nessun approccio anche se siamo molto delusi, perché Ilaria era molto conosciuta in Somalia. Erano sette volte che mia figlia ci andava ed era conosciuta da moltissimi cittadini somali. Noi speravamo e speriamo ancora, ma ormai la speranza su questo si fa sempre più flebile, che qualcuno che la conosceva dicesse qualcosa, perché la verità a Mogadiscio la sanno in molti. Questo ci ha deluso moltissimo, perché lei amava quel popolo e se è stata assassinata, noi crediamo che lo sia stata insieme, a Miran Hrovatin, anche e soprattutto perché voleva scoprire le malefatte che i governi italiani che si sono succeduti, avevano fatto con la cooperazione italo-somala.
MINA’ A che punto sta questa famosa indagine sulle malefatte della cooperazione, dottor Alpi?
GIORGIO ALPI Quella è una pagina per noi molto triste, al punto che, poco tempo fa leggemmo sui giornali che l’inchiesta era ferma per vizi procedurali, per cui si andava, tecnicamente, verso “l’estinzione e la mancanza del ricordo”, dissolvendo tutto in questa maniera. In quella occasione fummo talmente emozionati che scrivemmo una lettera ad Ilaria, dicendo che c’era questa tragedia nella tragedia, cioè questo cercare di cancellare tutto, di non voler la verità ad ogni costo. Questa nostra lotta, infatti ha anche un significato, quello di non rendere inutile il sacrificio di due italiani che hanno lottato per la verità e che hanno il diritto di avere verità.
MINA’ E chi vi ha pubblicato questa lettera ideale ad Ilaria?
GIORGIO ALPI Ce l’ha pubblicata un quotidiano, “La Repubblica”.
GIORGIO ALPI Era un colloquio con Ilaria per metterla al corrente di questa situazione così triste e ingiusta, anche perché i magistrati hanno lavorato, hanno fatto ricerche e poi, improvvisamente, si trova sempre il sistema perché queste procedure siano fermate e poi non si sa più niente e la gente dimentica. Il tentativo è proprio quello di far dimenticare.
MINA’ Quando avete incominciato a capire che nella morte di vostra figlia c’erano molte cose poco chiare?
GIORGIO ALPI Direi, quasi immediatamente. Ricordo che, dopo i primi due o tre giorni di smarrimento, c’è stato un dato di fatto molto importante. Noi abbiamo saputo della morte di Ilaria per una telefonata della Rai, ci avvertivano, infatti, che Ilaria era morta. Non è venuto da noi nessuno della Farnesina. In genere si sa che in questi casi la famiglia viene avvertita e questo è un dato molto importante, perché vorrei ricordare un fatto che si collega a questo. Ilaria era a Mogadiscio il giorno che furono uccisi i due soldati italiani mentre facevano jogging. Lei era in macchina insieme al giornalista del “Corriere della Sera” Alberizzi. Avevano la radio accesa perciò seppero, nei minimi particolari, nell’immediatezza, tutto quanto, sentirono i richiami per mandare i soccorsi, gli elicotteri che dovevano arrivare e seppero i nomi dei due italiani che erano stati uccisi. Alberizzi – lo ricordo in un articolo che ha scritto – si rivolse a Ilaria e disse: “Tu stasera devi fare il servizio alle sette e perciò sarai la prima giornalista a dare questa notizia”. Ilaria si rifiutò di darla, perché non voleva che la famiglia avesse la notizia dei propri congiunti morti attraverso la televisione. A lei questo rispetto non è stato dato. Due o tre giorni dopo la morte di nostra figlia, siccome non sapevamo, andammo alla Farnesina, all’Unità di crisi, per chiedere notizie. Fummo ricevuti… Niente, non sapevano niente, ci dissero che non avevano notizie. Noi ricordammo che Ilaria era stata la prima giornalista che aveva dato la notizia di questa nave sequestrata, ma ci fu risposto che era inutile, che lo sapevano già loro.
MINA’ Questa nave che trasportava armi?
GIORGIO ALPI Si suppone che trasportasse armi. Faceva parte della flotta Shifco che fu sequestrata.
RVM Servizio di Massimo Cerefolini (marzo 1997)
“Ecco i taccuini di Ilaria Alpi, quelli trovati in redazione a Roma, e due dei cinque, gli altri sono misteriosamente scomparsi, che l’inviata del Tg 3 aveva riempito a Mogadiscio poco prima di venire uccisa assieme all’operatore Miran Hrovatin. Si parla di opere della cooperazione allo sviluppo lasciate in abbandono della Shifco, una società di pesca della Somalia beneficiata dagli aiuti italiani e di un personaggio somalo, Omar Mugne, capo indiscusso della Shifco. Nei confronti di Mugne, laurea in ingegneria a Bologna, una carriera folgorante al seguito del Psi di Craxi e dell’ex dittatore somalo Siad Barre, la Procura di Torre Annunziata ha emesso, di recente, un avviso di garanzia per traffico internazionale di armi e Ilaria Alpi – ricordano i magistrati campani – stava indagando proprio su una nave della Shifco, la “Faarax Oomar”, sequestrata in quei giorni da alcuni pirati al largo di Bosaso.
Sultano di Bosaso: “A capo di questa flotta, c’era un ente nazionale che si chiama Shifco”.
Noi facciamo un passo indietro, fino alla metà degli anni ’80, quando la Shifco viene creata per gestire una flotta di pescherecci costruiti dalla Sec di Viareggio con i fondi italiani per l’aiuto ai paesi in via di sviluppo. Il controllo dell’azienda all’inizio è diviso in due: la parte italiana fa capo ad una società di Reggio Emilia, della famiglia Malavasi, quella somala a Mugne. Formalmente la maggioranza è somala, il controllo, di fatto, in mano agli italiani.
Sultano di Bosaso: “Parte di questa proprietà apparteneva ad una società italiana e la società era in collisione con Mugne. Ma Mugne non era niente e non è niente tuttora. E’ la società che manovra”.
Mugne, comunque, resta sempre al vertice della società e dopo alcuni complessi passaggi di gestione che vedono anche il coinvolgimento di una azienda del gruppo Panati di Lucca, la Shifco alla fine può contare su una flotta di tutto rispetto. Aiuto dopo aiuto, entra in possesso di cinque navi da pesca oceanica più una frigorifero. Ufficialmente, compito delle imbarcazioni è il trasporto di pesce fra Somalia e Gaeta, ma alla capitaneria del porto laziale, le navi si vedono raramente: “Ma, non proprio ogni due o tre mesi, bensì ogni cinque o sei”.
Consultando il registro dei Lloyd’s di Londra, i magistrati di Torre Annunziata si accorgono che le rotte dei pescherecci sono altre. Libano, Iran, Spagna, Venezuela. Le stesse, annota la Procura campana, tipiche del traffico d’armi. Ilaria, insomma, qualche cosa doveva averlo scoperto. Forse, come scriveva in uno dei suoi block notes, una quantità enorme di soldi pubblici destinati a un popolo affamato finivano per ingrassare il conto dei mercanti di armi e di scorie radioattive.”
GIORGIO ALPI Noi non possiamo dire armi, certo le ipotesi sono molte, ma non abbiamo la prova per dirlo. Comunque molte voci, molte testimonianze dicono che su quelle navi si facesse…
MINA’ La pesca c’entrasse poco… Questo ingegner Mugne era molto vicino ai governanti dell’epoca tanto dell’Italia quanto della Somalia, cioè a Craxi e a Siad Barre.
GIORGIO ALPI Mugne si è laureato in Italia ed era amico intimo di un personaggio socialista. Parlava benissimo l’italiano ed era legatissimo al Partito socialista e su questo ci sono le prove. Piro, ex deputato socialista, era un suo amico intimo.
RVM
Ilaria Alpi: “Si parla di questo scandalo di un proprietario somalo con passaporto italiano che si chiama Mugne che avrebbe preso queste navi, di proprietà dello Stato, e le avrebbe usate a suo uso privato.
Sultano di Bosaso: “Lui?”
Ilaria Alpi: “Lui”
Sultano: “Lui solo?”
Ilaria Alpi: “Lui con altre persone. Io le chiedo di spiegarmi che cosa è successo”
Sultano: “Durante il collasso lui era a capo di questa flotta, un ente nazionale che si chiama Shifco. Ed era una proprietà praticamente di Siad Barre. E lui faceva l’amministratore e quando è venuto il collasso, si è preso le navi, ha fatto scendere tutti gli occupanti somali in Tanzania, a Dar Es Salam e se l’è squagliata con le navi in Italia. Parte di questa proprietà apparteneva ad una società italiana”
“Sa il nome della società?”
“Il nome… La trovi…”
“Mi dia una mano!”
“Deve fare le ricerche, deve guadagnarsi il pane lei!”
“Non mi vuol dare una mano?”
“Non posso. Queste società hanno dovunque dei lacchè. Nessuno ci faceva caso (prima), e nessuno ci fa caso adesso”
“No, adesso il nostro sport preferito è quello di fare processi, adesso è diverso, non è come cinque o sei anni fa”
“A si? L’Italia è rinnovata? Meno male. Mandateci gli innovatori”
MINA’ Il tono del sultano di Bosaso che mi pare avesse avuto un avviso di garanzia dal giudice Pititto che è stato poi sostituito nell’indagine, sembra quasi un messaggio a qualcuno, un messaggio che Ilaria sicuramente tentava di interpretare.
LUCIANA ALPI Lì, quando lui dice una frase, c’è stato uno stop di camera. Per chi si intende di telecinema ed anche i giornalisti, naturalmente, se ne sono accorti. E poi Hrovatin, era un uomo sicuramente intelligente, ha capito che il sultano stava raccontando qualcosa di interessante ed ha riaperto la telecamera. Si sente, infatti, il sultano che dice “Venivano da Milano – non c’è il soggetto – venivano da Brescia, addirittura dallo stato sabaudo (dal Piemonte)”. Che cosa veniva da Milano e soprattutto da Brescia? Non certamente il pesce, ma le armi.
MINA’ Questa intervista è del 17 marzo del 1994, tre giorni prima della morte di Ilaria e di Hrovatin. Vorrei continuare con un altro servizio di Ilaria, perché questo è un viaggio nella vostra vita, nel vostro affetto, nella vostra storia di genitori di una ragazza che cercava la sua affermazione nel giornalismo, ma è anche purtroppo, un viaggio nelle contraddizioni del nostro Paese.
RVM
Il porto di Bosaso è il centro più importante delle regioni nordorientali della Somalia. Qui approdano le navi in arrivo dalla Penisola Arabica.
Ilaria Alpi: “Proprio per quanto riguarda Bosaso, qui ci sono stati dei problemi, sono state sequestrate delle navi. In questo momento è stata sequestrata una nave con a bordo croati e italiani. Cosa ci può dire a riguardo?”
Dardo Scilovich, rappresentante dell’Unosom: “Mi dicono che ci sono tre italiani a bordo di questa nave, quattro croati, parecchi curdi e altri ventinove somali. Era una nave che era stata operata prima dai somali e dagli italiani in cooperazione internazionale. C’è anche un angolo interno in tutta questa faccenda…”
Ilaria Alpi: “Queste navi adesso sono in Italia”
Sultano: “Nella maggior parte del tempo sono nei nostri mari, sulla costa migiurtina”
Ilaria Alpi: “ E poi dove vendono?”
Sultano: “Sulla costa magertina. Adesso ne abbiamo presa una”
Ilaria Alpi: “E poi cosa avete fatto, dopo aver preso la nave?”
Sulatano: “L’abbiamo, basta”.
MINA’ Quei predoni hanno recuperato una nave che la cooperazione italiana aveva dato al governo somalo e della quale si era appropriato un personaggio legato a Siad Barre, trasformandole in una proprietà privata. È veramente l’inizio di una storia non da poco. Dardo Scilovich, il rappresentante della United National Operations in Somalia è fiscale, burocratico nel dire solo quello che è successo, mentre il sultano di Bosaso continua ad essere insinuante e beffardo. Questa intervista di Ilaria con il sultano, credo abbia a che fare con la sua sorte, ci offra molte spiegazioni su quello che è successo ad Ilaria. L’aveva scelta lei la Somalia o era stato il telegiornale?
LUCIANA ALPI No, quando nel dicembre del ’92 c’era stato lo sbarco americano a Mogadiscio, ci andò un suo collega. Dopo una settimana, verso il 22 o il 23 di dicembre, lui rientrò, qualcuno doveva ritornare a Mogadiscio e mandarono Ilaria. E mi ricordo che fu il primo Natale della sua vita che non fece con noi, perché lei in qualsiasi parte del mondo si trovasse, il Natale le piaceva farlo insieme a noi.
MINA’ La mandarono perché parlava arabo e conosceva quel mondo?
GIORGIO ALPI Anche quello, ma a proposito di questo fatto del Natale passato a Mogadiscio, credo che sia necessario ricordare un episodio rammentato da un giornalista. Il giorno di Natale c’era una festa all’Ambasciata italiana e una festa in casa di Marocchino, il faccendiere italiano che era là…
MINA’ E anche vicino ai servizi segreti italiani, questo è notorio.
GIORGIO ALPI Si. Ilaria disse: “No, io non vengo perché io faccio la giornalista e devo continuare il mio lavoro e passò il Natale a Merca, in un ospedale dove c’erano degli ammalati e Alberizzi ricorda questo fatto, dicendo che era proprio il suo stile, il suo modo di lavorare. Questo, credo, renda un po’ il carattere di Ilaria, il suo sforzo, che viene da molto lontano, nel senso che lei aveva già avuto l’esperienza egiziana, era stata in Marocco…
MINA’ Mi parli di questa sua figlia che vedo lei ricorda con orgoglio.
GIORGIO ALPI Si… Però, tornando alla domanda che lei mi aveva fatto, abbiamo saputo dopo tanto tempo, dopo il famoso bombardamento di Mogadiscio, che ci fu un tentativo di accoltellamento di Ilaria. Lei non parlava… Noi non litigavamo mai. C’erano delle discussioni come tutti, però io ricordo che quando andavo a prenderla all’aeroporto, qualche volta, mi lamentavo perché lei raccontava poco e forse perché si voleva difendere dalla paura, dall’ansia e dai rimproveri che le facevamo. Se si guardano i suoi servizi, si vede che lei appare poco, si vede questa mano con il microfono. Noi le dicevamo: ”Ilaria, fatti vedere così sappiamo come stai”. E lei rispondeva: “Non è fatto per me il servizio, è fatto per quello che io racconto”.
MINA’ Il vecchio giornalismo televisivo era molto sobrio e a noi così ce lo hanno insegnato. Con il tempo molti hanno creduto fosse un palcoscenico. Era stata una vocazione questa, per Ilaria? A quanti anni vi ha detto che voleva fare questo mestiere?
LUCIANA ALPI Ilaria, durante le medie, andava in una scuola cosiddetta sperimentale a tempo pieno e nel pomeriggio facevano delle attività. Lei aveva scelto di fare il giornalino della scuola e da allora cominciò a dire che da grande avrebbe fatto la giornalista. Ma le sarebbe piaciuto scrivere soprattutto su un settimanale, perché, sosteneva, che scrivere su un settimanale poteva approfondire l’argomento che avrebbe scelto. Certamente, alla tv approfondimenti di questo genere non ci sono, le notizie vanno di getto e il tempo è sempre limitatissimo.
MINA’ Signora, il mondo arabo era stata un’altra scoperta della adolescenza?
LUCIANA ALPI . No, il mondo arabo è venuto fuori per caso. Lei, finita la maturità, voleva fare l’etologa, perché adorava gli animali. Allora andò a Parma dove un nostro cugino la presentò al professor Mainardi, un grande etologo, però le dissero che doveva iscriversi alla facoltà di scienze naturali con specializzazione etologia ed in questi studi, è prevista molta matematica. Ilaria, che è sempre stata molto brava a scuola, le piaceva anche vivere, le piaceva divertirsi, però ha sempre studiato volentieri, ma la matematica non era certamente la sua materia preferita, disse: “No, non lo posso fare”. Andò all’università e lesse le varie facoltà scritte sui tabelloni e scelse lingua e letteratura araba. Quando tornò a casa noi dicemmo: “Fai quello che vuoi”, però pensammo che poi si sarebbe fermata. E invece la cosa le piacque talmente e la interessò moltissimo, anche perché era una facoltà che aveva solo venti iscritti alla Sapienza, per cui erano seguiti molto bene dagli insegnanti.
GIORGIO ALPI C’è un fatto molto strano: mio nonno era stato ucciso a Mogadiscio, ad Alafuè, e ho pensato tante volte con Luciana, ma Ilaria ci rispondeva: “State calmi, alla Somalia abbiamo già dato, il nostro contributo lo abbiamo pagato”. Questa stranissima coincidenza di questo suo bisnonno che era morto a Mogadiscio…
MINA’ Durante la guerra?
GIORGIO ALPI No, era nella carovana dell’esploratore Antonio Cecchi. Vennero uccisi tutti, nel 1896, a La Folè, nei pressi di Mogadiscio.
MINA’ In questo servizio, è presente il modo di fare giornalismo di Ilaria, dove si vede l’abilità di un professionista di raccogliere in pochi minuti non solo tante notizie, ma un sapore, una atmosfera, un modo di essere di una terra, di un popolo.
RVM
Il traffico a Mogadiscio è bloccato. Il convoglio degli aiuti italiano è fermo qui. Il presidente Bush è in visita in un villaggio qui accanto e gli americani hanno chiuso la strada che va a Merca, la distribuzione degli aiuti può attendere. Merca dà il benvenuto agli americani, anche se la gente aspettava i soldati italiani. La città ha bisogno di aiuti, il porto è pieno ma non può cominciare la distribuzione perché i banditi assaltano i convogli. Case saccheggiate, beni rubati, donne violentate. Conflitti tra clan, famiglie, etnie diverse e poi è stata la volta dei fondamentalisti islamici che hanno occupato il porto. Sono determinati, il porto è sotto la loro autorità e intendono restarci. Aberracman era orgoglioso del lavoro fatto. “Ora la situazione – ci dice – è tranquilla sotto il nostro controllo”. Non sa ancora che, tra breve, saranno gli americani i padroni del porto.
Butrhos Gali è inviso qui in Somalia. Sono i “Banco” a protestare, l’etnia africana. Accusano il Cairo di aver appoggiato quella araba, i “Darod”, per tutta la presidenza Barre, quando Barre era ministro di stato degli affari esteri. E non basta: Rali è accusato di essere stato lo sponsor dell’intervento militare internazionale e di avere organizzato le conferenze di pace del Cairo e Giputi, fallite, e che in molti avevano considerato un bluff fin dall’inizio e qualcuno insinua che Rali appoggi alcune fazioni contro altre, legato come sarebbe, al precedente governo. Grandi difficoltà a livello politico e diplomatico che si ripercuotono con violenza su un paese già così diviso e senza più alcuna legge. Un paese sotto pressione che potrebbe esplodere con violenza estrema una volta partito l’ultimo militare straniero. Al quartier generale di Aidid il responsabile degli affari esteri, il dottor Issa, ha toni molto duri contro tutti gli occidentali.
Issa: “Gli americani ci avevano chiesto di mettere tutti i nostri militari nei vecchi campi militari. Noi abbiamo accettato il loro consiglio, li abbiamo inviati e tenuti lì. Poi non abbiamo avuto più altre informazioni e il secondo passo che hanno fatto è stato quello di attaccare e bombardare”.
La luna di miele con gli americani sembra proprio finita.
MINA’ Voi avete parlato con Ilaria l’ultima volta …
LUCIANA ALPI Io ho parlato con Ilaria la domenica del 20 marzo. Alle 12.30, ora italiana, mi ha telefonato dicendomi che era tornata da Bosaso, che era molto stanca, ma stava bene. Poi io le ho chiesto quando sarebbe rientrata e lei m’ha detto: “Se la Rai me lo permette, io vorrei rimanere altri due o tre giorni dopo la partenza del contingente italiano, perché vorrei vedere la situazione di Mogadiscio dopo la partenza del nostro contingente. Io le ho detto: “Cerca di arrivare prima che puoi”, le solite raccomandazioni di una madre.
MINA’ Perché era partita? In questo caso, c’era stata una sua indicazione sua al direttore del Tg 3?
LUCIANA ALPI No, assolutamente. Probabilmente lei è andata per questo suo ultimo viaggio, perché era il completamento del suo lavoro. L’aveva iniziato con la permanenza degli italiani a Mogadiscio e lo concludeva con il rientro in Italia del contingente in Italia.
MINA’ Ma stava per non partire, mi pare…
LUCIANA ALPI Stava per non partire, infatti era a casa nostra la sera prima. Fino alle 11.30, mezzanotte, non sapeva se la mattina dopo sarebbe potuta partire per Mogadiscio, perché i tre operatori della Rai si erano rifiutati di accompagnarla. Almeno di uno sappiamo, e l’ha detto chiaramente davanti alla Commissione Gallo, che non è andato, intanto perché non stava bene, e poi…
MINA’ La Commissione Gallo è la Commissione di inchiesta sulle presunte violenze del continente italiano in Somalia.
LUCIANA ALPI Esattamente. Lui ha detto che non è partito perché il budget era troppo basso.
MINA’ Era l’epoca in cui la Rai stringeva i cordoni.
LUCIANA ALPI La Rai dei cosiddetti professori che dovevano fare di tutto per risparmiare e riportare l’azienda in attivo, probabilmente. Il budget di Ilaria, infatti, per dieci giorni, per una guardia del corpo, l’autista, la macchina e il carburante, era di tre milioni.
MINA’ Forse una guardia del corpo in quella situazione è niente.
LUCIANA ALPI Era niente, appunto.
MINA’ Per questo fu scritturato Miran Hrovatin, della Videoest, una agenzia che fornisce servizi e tecnici alla televisione pubblica e ai network privati e che aveva già lavorato con i giornalisti Rai in Bosnia. Purtroppo ci sono momenti in questa azienda che non si capiscono sempre fino in fondo.
LUCIANA ALPI Non si capiscono a tal punto che dopo la morte di Ilaria, la Rai, noi pensavamo che si costituisse parte offesa immediatamente, perché in fondo Ilaria era morta mentre svolgeva il lavoro per la Rai, per questa azienda di stato, fra le altre cose. E invece dopo le nostre insistenze e le nostre anche probabilmente insistenze pesanti, la Rai si costituì parte offesa a due anni e mezzo dalla morte di Ilaria. E questo devo dare atto all’allora direttore generale che era il dottor Materia, che con noi fu squisito e difatti lui non sapeva perché lui non c’era oppure stava in Rai ma non era ai vertici e era meravigliato perché la Rai non si fosse costituita immediatamente. E così lo fece lui ma dopo due anni e mezzo dalla sua morte.
MINA’ Sembra un percorso, un Calvario di amarezze. Incominciamo invece ad entrare nelle amarezze per quello che avete saputo è stato lo svolgersi dei fatti e che hanno causato la morte di Ilaria. Ilaria era andata a Bosaso perché evidentemente inseguiva questa realtà che a fatica viene fuori.
LUCIANA ALPI Lei doveva stare 24 ore a Bosaso. Il 18 sapeva che a una data ora doveva andare questo aereo. Stranamente loro sono arrivati, l’aereo è arrivato prima ed è partito prima così lei e Miran sono dovuti rimanere due giorni in più a Bosaso. Questa è un’altra cosa strana, perché un aereo Unofrom che sa di dover prendere due giornalisti per riportarli a Mogadiscio, in un momento particolare, insomma, arriva prima e parte prima. Anche qui è una cosa strana, e ci sono molte stranezze in questa triste vicenda
MINA’ All’aeroporto a Mogadiscio, ad attendere Ilaria e Miran Hrovatin c’erano un autista e una guardia del corpo diversi dal previsto.
GIORGIO ALPI Non s’è mai saputo chi abbia trasportato dall’aeroporto all’albergo Shavin di Mogadiscio Sud, non s’è mai riusciti a saperlo. Ad ogni modo ci sono delle cose strane anche in questo fatto, perché dai registri che noi abbiamo avuto, il 19 era stato mandato un mezzo militare per recuperare Ilaria e portarla in zona di sicurezza. Non si capisce perché il 20 non sia andato nessuno, se non potevano perché c’erano stati gli imbarghi, era un momento cruciale per le nostre forze armate, almeno avvertire l’albergo che non si muovesse. Invece poi c’è stata questa partenza improvvisa di Ilaria che è stranissimo perché era arrivata stanca, perché era ripartita per andare in uno delle escursioni che abbiamo fatto e che qualcuno l’abbia chiamata al telefono o qualcuno le abbia richiesto la sua, perché bisogna superare la linea verde… Era tutto un percorso molto pericoloso
MINA’ Per andare dal suo albergo che si chiamava?
GIORGIO ALPI Dal suo albergo all’Habana dove poi è avvenuto l’eccidio
LUCIANA ALPI L’albergo di Ilaria si chiamava Sansha e l’Habana Hotel è l’albergo dove lei è andata
MINA’ In teoria per andare a trovare il collega Benni
GIORGIO ALPI Poi tra le altre cose era un continuo insistere con l’autista che le aveva detto che non c’era. E’ tutta una cosa molto strana e questo è grave perché siccome non hanno fatto nessuna inchiesta, ed era un’inchiesta semplicissima che si poteva fare, sapere dall’albergo, ma nessuno ha visto niente
MINA’ In quel frangente, prima di uscire dall’albergo, Ilaria telefonò a voi e poi al tg3 annunciò per l’edizione delle 19, ho delle cose grosse, un ottimo servizio. Poi uscì con Hrovatin senza la telecamera. E’ indiscutibile che vostra figlia fosse una giornalista coraggiosa mi pare
LUCIANA ALPI Era una persona non so se coraggiosa è l’aggettivo giusto. Quando doveva fare una cosa la faceva, non era certamente la giornalista che si dava all’arrembaggio, non assolutamente. Amava troppo la vita Ilaria per rischiarla. Probabilmente lei seguiva un filone. Seguiva questo filone del traffico d’armi e la malacooperazione perché questo ci è stato restituito dal suo cassetto dell’ufficio di Saxa Rubra, un blok notes che lei aveva nel cassetto dove c’era scritto “Dove sono finiti i 1400 miliardi della cooperazione italo-somala” poi c’era scritto Scifco, Mugne, Bosaso, strada Daroe-Bosaso che è la strada che sembra sia stata fatta per poter interrare i rifiuti tossici. Questo è quanto dice una Procura di Asi, per esempio. Per cui lei era partita sapendo che cosa voleva sapere
MINA’ E indaga sui rifiuti tossici
LUCIANA ALPI Per cui lei queste cose erano precedenti al suo ultimo viaggio. Non è vero che per esempio che inizialmente qualcuno diceva che era andata a Bosaso per caso. Assolutamente
GIORGIO ALPI Abbiamo le prove
LUCIANA ALPI Perché noi abbiamo un foglio che lei aveva riempito, perché loro dovevano riempire un modulo quando chiedevano di fare un viaggio, all’Unosom per cui noi abbiamo questo foglio che lei chiede di andare e doveva andare anche a Chisimaio, che era a Sud di Mogadiscio
GIORGIO ALPI. Il 21
LUCIANA ALPI Doveva andare a Chisimaio e a Bosaso. A Chisimaio non c’era l’aereo a disposizione, c’era per Bosaso. Allora lei prima è andata a Bosaso e poi sarebbe dovuta andare il 21 marzo a Chisimaio. Perché lì c’era la stessa situazione di Bosaso, cioè era un porto dove c’erano le navi, dove probabilmente c’erano dei traffici, per cui lei voleva fare queste due tappe. Noi abbiamo questo foglio Unosom con la data “Bosaso, 21 marzo Chisimaio
MINA’ Ma l’Italia di oggi chi deve coprire di questa storia indegna successa nel nostro recente passato?
LUCIANA ALPI Questo noi non riusciamo a capire. Difatti noi siamo molto critici verso le nostre Istituzioni perché ad esempio il governo italiano addirittura la Presidenza del Consiglio dovrebbe fare dei passi per sapere che cosa sa un generale Luca Raiola Pescarini della morte di Ilaria e di Miran. Chi è questo signore? E’ un generale del Sismi, cioè del servizio segreto militare. Questo signore era presente a Mogadiscio prima che il nostro contingente andasse, durante e anche adesso. Allora noi diciamo Perché non si attiva qualcuno del nostro governo per sapere che cosa sa questo signore? Noi non possiamo pensare che allora colonnello, adesso generale, questo signore non sappia che cosa è successo. Lui ha liquidato la morte di Ilaria e di Miran dicendo che erano stati uccisi dai fondamentalisti islamici. Cosa che se non sarebbe tragica, ci sarebbe da ridere, perché poi nessuno, la racconta il generale Fiore, dopodiché non la racconta più nessuno, questa tesi e non si dice altro. Allora, un generale di un servizio segreto italiano che non sa che cosa è successo a due giornalisti italiani, non posso pensare, penso che sia una persona molto colta e preparata, allora cosa nasconde questo signore, perché nessuno gli fa dire che cosa realmente è accaduto oppure perché non si è attivato per sapere che cosa è accaduto
MINA’ Appena Marocchino con la sua macchina che aveva raccolto i corpi di Ilaria e Miran arriva al porto vecchio, ha trovato un agente dei servizi segreti, un tale Tedesco.
GIORGIO ALPI Sembra che ce ne fossero altri in giro, però…
LUCIANA ALPI Questi sono solo un “si dice”. Ci dovrebbe essere questo Tedesco, anzi addirittura vicino alla macchina dell’agguato c’era, pare, un uomo dei servizi. Quando arriva Marocchino sul posto dell’agguato, pare ci fosse anche questo Tedesco, di nome, io non so però, si dicembre
MINA’ Cosa vi indigna di più, perché ora stiamo entrando in un altro capitolo doloroso, l’agguato e quello che è successo subito dopo ‘agguato
LUCIANA ALPI A noi ci indigna soprattutto le omissioni fatte dal comando militare italiano. Non è andato nessun militare nel posto dell’agguato
MINA’ Mentre due troupes, una della televisione svizzera e una della ABC…
LUCIANA ALPI Hanno fatto tranquillamente i loro servizi. Non solo, Marocchino chiama il comando italiano per dire “Ci sono due italiani” lui conosceva benissimo Ilaria, dice addirittura l’altro non lo conosceva perché era Rovatin, era la prima volta che andava a Mogadiscio, ma Marocchino conosceva benissimo Ilaria. Quando l’ha presa tra le braccia, questo lo dice lui, dice addirittura non sapeva se piangere o urlare perché Ilaria era ancora viva. Chiama il comando italiano, parla con il colonnello Giorgio Cannarza il quale gli dice “Pensaci tu”.
LUCIANA ALPI Adesso abbiamo scoperto leggendo la relazione del professor Gallo, che addirittura loro hanno interrogato questo colonnello Giorgio Cannarza il quale sostiene di avere detto a Marocchino di provare con due dita, mettere due dita sul collo ad Ilaria per vedere se era ancora viva. Allora a questo punto noi come genitori che cosa diciamo? Se questo colonnello dà una dritta a Marocchino per sapere se Ilaria è ancora viva, certamente è viva, se no Marocchino avrebbe detto che era morta. Una cosa. La seconda è che dal servizio fatto dal ABC, Ilaria si vede che le sgorga il sangue dal naso, per cui in una persona morta il sangue non esce, no?
MINA’ Malgrado il colpo alla nuca, lei è medico, dottor Gorgio, poteva essere che il cuore di Ilaria pompasse?
GIORGIO ALPI Certamente questo è dimostrato da un fatto che abbiamo saputo ultimamente, perché Luciana è riuscita a parlare con l’ufficiale medico della Garibaldi che è stato molto corretto, ci ha dato molti particolari al telefono e ha detto che Ilaria era intrisa di sangue a tal punto che loro da un primo momento avevano pensato fosse colpita in più parti del corpo. L’hanno spogliata e si sono accorti che era un colpo unico. Questo vuol dire che ha continuato a sgorgare sangue fino all’ultimo momento, perciò era un soggetto decelebrato, ma certamente con un cuore pulsante.
MINA’ Quando si fa la televisione bisogna anche convincere la gente che non stiamo facendo parole. Io a questo proposito ho visto i filmati della ABC e quelli della tv svizzera che sono espliciti e confermano quanto voi state raccontando. C’è una sensibilità non solo vostra di genitori, ma dei telespettatori da preservare. Noi abbiamo lasciato solo un’immagine, una perché lo spettatore sappia che non stiamo facendo del sensazionalismo giornalistico. Con la vostra autorizzazione e vi chiedo scusa, ma credo che la battaglia che state conducendo per voi ormai è preminente, si vede chiaramente che dal naso di Ilaria sgorgano gocce di sangue. Ilaria si, è come dice lei dottore, era ancora in quel momento probabilmente viva, non sappiamo cosa avrebbe potuto fare un medico, però era viva. Queste sono alcune immagini del filmato che due televisioni hanno potuto realizzare in quel momento, in quel frangente
RVM Immagini di cronaca corpi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
MINA’ Scusate per la violenza delle immagini. Nella sala di montaggio, rallentando le immagini si vede chiaramente le gocce che escono dal naso. Si vede anche un’immagine abbastanza emblematica. Quando vengono portate via le cose che stanno nell’auto, vengono consegnate a Marocchino una radio e una macchina fotografica. Quella macchina fotografica l’avete ricevuta poi indietro?
LUCIANA ALPI Insieme ai blok notes non ci è mai stata restituita né i block notes, né questa macchina fotografica, i reprti medici, il certificato di morte, noi non abbiamo avuto nulla di tutto questo.
MINA’ E quindi avete avuto problemi anche alla sepoltura di Ilaria
LUCIANA ALPI Noi abbiamo avuto problemi alla sepoltura di Ilaria perché avevamo bisogno del certificato di morte, e siamo andati al Comune di Roma, all’anagrafe per chiedere il certificato di morte. Da un impiegato ci è stato rifiutato perché noi non sapevamo né il nome della strada, né il numero civico cdella casa di fronte alla quale Ilaria era stata assassinata
MINA’ Eè tragico e grottesco questo
LUCIANA ALPI Terribile. Noi ci indignammo moltissimo, e un funzionario ci disse che se volevamo questo certificato di morte, dovevamo dichiarare che nostra figlia era morta in mare. A questo punto avremmo accettato anche questo se nonché la cosa era talmente eclatante e così disperante per noi che fecero uno strappo alla regola e ci dettero poi il certificato di morte
GIORGIO ALPI Ma il certificato originale noi non l’abbiamo mai avuto
LUCIANA ALPI Mai visto
GIORGIO ALPI Come non abbiamo mai avuto in tutti i certificati fatti dalla Garibaldi
LUCIANA ALPI Per esempio questo capitano di vascello Rossitto che sta a Taranto e al quale io ho telefonato (devo dire una persona molto gentile, molto educata), i disse che quando si accorse che Ilaria aveva solamente un colpo alla nuca, fece fare delle fotografie a colori e in bianco e nero e stilò un referto medico sull’unica ferita che aveva Ilaria. Gli domandai dove fosse finita questa documentazione e lui mi disse che l’aveva consegnata al comando navale di Ibis. Noi andammo al Ministero della Marina a Roma, parlammo con un ammiraglio e chi