Quella settimana con i Beatles in Italia

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Minà con i Beatles
Minà con i Beatles

Mi diverte aggiungere qualche particolare su quel tour del giugno ’65 dei Quattro di Liverpool che hanno rivoluzionato la musica popolare negli anni ’60 e in quelli a seguire, trasformandola in una espressione artistica nobile e innovativa.

Ne parlo perché sono stato con loro in quella tournèe giorno dopo giorno.

Fu Leo Watcher, vecchio partigiano e protagonista nella resistenza ai nazifascisti, trasformatosi poi in coraggioso e visionario organizzatore di concerti jazz (Ella Fitzgerard, Duke Ellington, Sarah Vaughan) e spettacoli teatrali, a coinvolgermi nell’avventura di seguire i Beatles minuto per minuto, perché apprezzava il fatto che ero un cronista che non si dava mai per vinto, anche se rispettavo sempre chi era oggetto della mia curiosità.

Watcher aveva battuto, nella gara per assicurarsi i Beatles in Italia, il leggendario Sergio Bernardini, inventore della Bussola di Marina di Pietrasanta, il tempio di Mina e di Celentano e dei più grandi artisti di music hall del mondo, che per una volta non se l’era sentita di rilanciare sul prezzo, come faceva sempre, ed aveva perso la partita con l’ex partigiano.

'I forzati del successo' Articolo di Minà su "Ciao Amici"
'I forzati del successo' Articolo di Minà su "Ciao Amici"

Anche io, prima che venissero in Italia, ero andato a Londra a conoscere i Beatles, grazie all’aiuto di Lilian Terry, una raffinata cantante italiana di jazz, amica di Wendy Hanson, assistente del loro manager Brian Epstein.

Questa impresa, a Leo, era parsa degna di rispetto oltre che del diritto di raccontare in esclusiva la visita di Paul, John, George e Ringo a Milano, Genova e Roma.

E non è che io allora, poco più che ventenne, scrivessi sul Corriere della Sera o sulla Stampa, ma solo sul mitico Ciao amici, il vangelo della musica beat, nato per copiare il successo francese di Salut les copains, la rivista affermatasi seguendo le gesta degli idoli d’oltralpe Johnny Holiday e Sylvie Vartan.

Su Ciao amici avevo raccontato di come mi avevano accolto i Beatles, gia reduci dai trionfi della prima tournèe americana, negli studios di Twickenham, dove stavano lavorando al film Help! e poi di come George una sera mi avesse portato in una specie di cantina dove suonava un gruppo con un cantante dalla voce impressionante, specie quando eseguiva un brano, The House of the Rising Sun, figlio di quel tipo di blues disperato che caratterizzava allora molti gruppi inglesi. Erano gli Animals, con Eric Burdon, che mi avevano colpito dritto al cuore.

'I forzati del successo' Articolo di Minà su "Ciao Amici" pag. 13
'I forzati del successo' Articolo di Minà su "Ciao Amici" pag. 13

Quell’esperienza avevo raccontato non solo su Ciao amici, ma anche, con uno pseudonimo, su Big, che era nato per fargli concorrenza, perché era tale la sete di informazione sui Beatles fra i giovani, che Marcello Mancini, direttore di Big, mi aveva assediato per una notte perché raccontassi, con altre parole, le stesse cose.

I Beatles li aspettai con Leo Watcher alla stazione centrale di Milano. Erano venuti da Lione in treno.

La sera la passammo al Charly Max, dove suonava con il suo gruppo Augusto Righetti.

Uscimmo all’alba ed è per me occasione di allegria rivedere le foto che ci ritraggono mentre attraversiamo il sagrato del Duomo per raggiungere l’Hotel omonimo.

In quel momento erano ancora ragazzi semplici di un gruppo rock, felici di divertirsi e poco sfiorati dal divismo, che pur stava per appropriarsi delle loro vite.

'I forzati del successo' Articolo di Gianni Minà su "Ciao Amici" pag. 14
'I forzati del successo' Articolo di Gianni Minà su "Ciao Amici" pag. 14

Non c’erano guardie del corpo e preminenti nei loro discorsi erano i soliti argomenti dei ragazzi di venti anni. Si parlava del calcio, per esempio, ma non solo del Liverpool e del Manchester, anche dell’Inter del mago Herrera che aveva appena vinto la seconda Coppa dei Campioni di seguito.

E poi, ovviamente, si parlava di musica e di ragazze. “Ne conosci di carine a Roma?”, mi chiedevano fra scherzo e provocazione, e io giuravo di si. John era l’unico ad avere fra le mani, spesso, un libro.

I due concerti al Velodromo Vigorelli li sorpresero per il delirio dei fans, perché fino a quel momento per loro, l’Italia era il paese della musica lirica, e l’unica nostra canzone che conoscevano era Nel blu dipinto di blu (Volare) di Modugno.

A Genova quando incominciarono a ripetersi i cori del pubblico, felice di cantare insieme a loro tutto il repertorio, mi dissero sorpresi “Ci conoscono bene qui!”. E non era falsa modestia, perché non erano ancora mai stati primi nelle nostre classifiche di vendita.

Ricordo, con un misto di divertimento e di paura, il decollo dell’aereo privato che da Genova, a notte fonda, ci portò a Roma. Il piccolo aviogetto, zeppo di apparecchiature e di strumenti, e anche di alcuni dei musicisti dei gruppi che aprivano lo spettacolo (i Novelty di Fausto Leali o i New Dada) dava l’impressione di non avere la forza per alzarsi.

Peppino Di Capri, l’artista più famoso fra quelli che introducevano il concerto dei Beatles, era bianco come un lenzuolo, e pregava, pregava.

 

 

'I forzati del successo' Articolo di Minà su "Ciao Amici" pag. 15
'I forzati del successo' Articolo di Minà su "Ciao Amici" pag. 15

A Roma, il giorno dopo i concerti al Teatro Adriano (non era stato trovato un locale più grande disponibile), tutti aspettavano i Beatles al Piper, una discoteca inaugurata qualche mese prima e che avrebbe fatto epoca e costume.

I Quattro di Liverpool lo conoscevano già di fama e volevano vederlo. George e Ringo, con un paio di ragazze, si strinsero nella mia Seicento, mentre John e Paul, con altre amiche, salirono sulla più comoda Rolls di Paolo Del Pennino, che avevano conosciuto in Inghilterra.

Puntammo sul Piper, ma l’attesa era diventata febbre. Me ne resi conto quando, una volta parcheggiate le auto nella pizzetta Coppedè, mi recai in avanscoperta a via Tagliamento. C’era la fila. Non era il caso di rischiare, e così andammo al Club 84, un night più retrò, sopravvissuto alla “dolce vita” di via Veneto.

Tirammo mattino e poi tutti insieme ritornammo all’hotel Parco dei Principi.

Il vicino zoo si stava risvegliando. Prevalevano i barriti degli elefanti. Con Paul ci venne di parlare di cinema italiano. Gli altri continuarono a “flirtare” con le amiche che avevano passato tutta la sera con noi. Solo John da una parte stava a testa in giù a praticare la sua ginnastica yoga.

Un’ora dopo arrivò la limousine per l’aereoporto.

John lo avrei incontrato un’altra volta negli Stati uniti ad un party di Ted Turner, il fondatore della CNN, compagno allora di Jane Fonda.

Paul lo avrei rivisto ancora a New York, a Londra e a Stoccolma, all’inizio della prima tournèe nella quale, dopo la scomparsa di John, aveva ritrovato la voglia di cantare le canzoni dei Beatles.

Non erano solo una banda di rock, erano molto di più, ma allora non ne sembravano convinti neanche loro.

 

Archivio Gianni Minà

Più di sessant’anni di vita da cronista, all’insegna di storie, impegno sociale e servizio pubblico. Custodito in uno spazio solo, un flusso di inserimento progressivo di materiale filmico e cartaceo, edito ed inedito, che si fa eredità intellettuale e ponte di sapere fra vecchie e nuove generazioni.

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